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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Girovagando sulle Apuane: Campocecina e dintorni

DiGiovanni Viaggi

Set 6, 2023

Si parte da Carrara e, dopo aver superato i paesi di Gragnana e Castelpoggio, si abbandona la SS 63, seguendo la segnaletica che indica Campocecina. La strada, nonostante la continua manutenzione, non è in eccellenti condizioni e presenta in vari punti un fondo stradale decisamente malmesso, per cui è bene procedere con cautela, facendo particolare attenzione alle buche che mettono a dura prova gli ammortizzatori. Arrivati in località Acquasparta, a quota 1261, dopo aver superato il rifugio Belvedere, troviamo un ampio parcheggio lungo un anello che contorna un piazzale recintato, nel quale campeggiano numerose opere in marmo. Nelle zone circostanti vi sono tende e camper ad indicare la possibilità di campeggio libero. Si parte con una piacevole temperatura di 20 gradi che fa subito dimenticare l’afa che abbiamo lasciato in pianura e, senza indugiare, scendiamo lungo un sentiero ben tracciato che porta al bivio fra i sentieri CAI n°185 e n° 171.

Prendiamo quest’ultimo, piegando a destra e proseguiamo fino ad inoltrarci in una bella faggeta e in un sentiero che, dopo una serie di falsipiani, scende rapidamente fino a quota 1120  ad incontrare il sentiero CAI n°40 che dal paese di Torano porta a Monzone. Decidiamo di fare un salto fino alla vecchia miniera di manganese, per cui giriamo a sinistra ed in un quarto d’ora arriviamo alla costruzione, ormai diroccata, che serviva da alloggio ai minatori ed ai motori  per la teleferica che portava a valle il prezioso materiale . L’ingresso della miniera è ormai sbarrato, per evitare che qualcuno possa avventurarsi all’interno. La  miniera fu aperta nella seconda metà degli anni ‘30 quando, per avere il prestigio dell’Impero, a Mussolini venne la brillante idea di invadere l’Etiopia. Questo fatto  provocò le sanzioni da parte della Società delle Nazioni e la conseguente impossibilità di importare dall’estero il prezioso manganese indispensabile per  ottenere acciai speciali. La miniera fu poi abbandonata nel dopoguerra perché antieconomica.

Torniamo indietro e, superato il bivio con il 171, troviamo sulla desta la Casa Cardeto a quota 1111, ormai in stato di completo abbandono; scendiamo ancora un poco, fino ai prati e qui ci si para davanti la Rocca di Tenerano, una bella piramide che decidiamo senz’altro di scalare. Non ci sono particolari difficoltà tranne il brecciolino abbondante sul sentiero che s’inerpica sul quale è facile scivolare; incontriamo un passaggio sulla roccia, dopo il quale si arriva agevolmente in vetta a quota 1206. Il panorama attorno a noi è particolarmente bello: si apre ad ovest sulla piana del Magra e sul Golfo di La Spezia, per proseguire in senso orario su tutta la valle dei torrenti Aulella e Lucido, quindi sul Pizzo d’Uccello e sulla maestosa cresta est del Sagro. Dopo una breve sosta per rifocillarci, si scende, tornando indietro sul sentiero 40; superata la Casa Cardeto sulla sinistra incontriamo il sentiero CAI n°184 che seguiamo per un breve tratto fino a trovare, sulla sinistra, la traccia che ci porterà sulla Torre di Monzone a quota 1245. Raggiungiamo la sommità non particolarmente interessante e, dopo una breve sosta, torniamo indietro fino al 40; qui pieghiamo a sinistra e, dopo poche decine di metri nei pressi di un grande faggio schiantato dal vento, troviamo sulla sinistra il sentiero CAI n°174 che porta alla Foce Pozzi e successivamente alla Foce di Pianza. Il sentiero sale rapidamente e dopo circa 20 minuti eccoci arrivati alla Foce Pozzi; qui abbandoniamo il 174 per immetterci sul sentiero CAI n°183 che sale sulla destra verso il Monte Ballerino. Poco più avanti si apre sulla sinistra, a pochi passi dal sentiero, l’Antro degli Orridi, una voragine di origine carsica impressionante, avvicinandosi alla quale, con la dovuta cautela, non si riesce a vedere il fondo.

case dei minatori

Dopo circa mezz’ora siamo ad un bivio che porta, sulla destra, al rifugio Carrara e sulla sinistra ai Prati di Campocecina. Proseguiamo ancora a sinistra e finalmente, dopo una decina di minuti, eccoci ai Prati a quota 1358. Qui, negli anni settanta venivamo spesso io e mia moglie, figlie e nipoti al seguito, tutti imbarcati sulla 128 FIAT, a fare le nostre passeggiate domenicali con qualsiasi tempo: fosse sole o pioggia o neve. In inverno si formava un laghetto, ormai scomparso, che ghiacciando, permetteva di fare spericolate scivolate seguite talvolta da capitomboli che provocavano risate e qualche lacrima, che veniva prontamente asciugata, per poi ricominciare in un’atmosfera di spensierata felicità.

Pizzo d’Uccello e monte Pisanino

Troviamo parecchi escursionisti, alcune tende da campeggio e molti giovani che giocano allegri. Sono ormai le tre del pomeriggio e camminiamo dalle 10,30; in effetti siamo un po’ stanchini ma, si può arrivare fin qui, senza fare una visita alla sommità del Monte Borla? Certo che no! E allora zaino in spalla e su per i prati. Superiamo sulla destra la Vaccheria, una vecchia stalla degli anni ’30, della quale rimangono pochi ruderi, e proseguiamo in mezzo a piante cariche di lamponi. Seguendo il sentiero che aggira la base del monte, troviamo, sulla destra, una deviazione che ci porterà sulla cima. Poco prima della vetta, troviamo la Capanna Martignoni, una bella costruzione degli anni ‘30 che ha, alle spalle, una curiosa storia. Essa infatti veniva anche chiamata la “casa dei motori” per via dei motori che dovevano servire a fornire l’energia elettrica per un enorme pannello luminoso. Su questo pannello, che sarebbe stato visibile finanche dal mare, doveva campeggiare la pubblicità di una nota casa produttrice di vermouth. Il progetto non andò mai in porto; in compenso è rimasta la bella casa ad uso e consumo degli amanti della montagna.

Rocca di Tenerano

Pochi minuti ancora e siamo sulla vetta, che è caratterizzata da un grosso limite di confine con sopra scolpita la data 1892 che delimita lo spartiacque fra i comuni di Carrara e Fivizzano. Anche qui il panorama fra monti e mare è tutto da godere. Scendiamo dal sentiero ovest, meno battuto, ma che permette una vista costante sul mare e presto ci troviamo in una selva di felci più alte di noi; subito dopo ci accoglie una lunga distesa di piante di lampone con i suoi frutti dolcissimi e perfettamente maturi che ci ridanno le giuste energie. Una ventina di minuti più tardi siamo al parcheggio, decisamente stanchi, ma felici programmando, prima di lasciarci, la prossima escursione.  

L’orrido

 

Cippo Monte Borla