• Ven. Nov 22nd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

L’appuntamento per la salita sul monte Corchia è presso il Palazzo Mediceo di Seravezza, una bella villa voluta da Cosimo i de’ Medici nel 1565 per poter avere una dimora degna, in occasione delle sue frequenti visite alle cave di marmo ed alle miniere d’argento, oggi sede di un bel museo etnografico.

Stavolta siamo solo in quattro e quindi con un solo automezzo risaliamo la strada provinciale numero 9, che abbandoniamo poco dopo il paese di Terrinca, per salire fino a Passo Croce. Da lì procediamo fino a Fociomboli, dove lasciamo la macchina ed iniziamo l’escursione. Sulla sinistra troviamo  il sentiero CAI n°129 che ci porterà attraverso una bella faggeta, in un alternarsi di saliscendi, fino alle Foci di Mosceta (Rifugio Del Freo) dove inizierà la salita vera e propria. Durante questo tragitto l’amico Giovanni ci racconta di quando da bambino salì sul Corchia con suo padre, in un inverno di una quarantina d’anni fa. Durante il ritorno, poiché era tutto innevato, decisero di scendere a “goccia” evitando la via normale. Giunti nei pressi di una cava abbandonata s’imbatterono in una grossa vasca di raccolta delle acque completamente gelata, nella quale Giovanni ricordava di aver gettato una grossa pietra che non aveva neppure scalfito il ghiaccio, tanto questo era spesso.

Chiacchierando, giungiamo in vista del rifugio e delle Foci: ci attende ancora un buon pezzo di strada prima di arrivare; ci fermiamo un attimo, alziamo gli occhi verso la montagna e nella mente mi scatta l’idea: perché non farci una bella scalata a “dritto per dritto” anziché il percorso tradizionale? Detto fatto: in pochi minuti siamo già alle prese con una salita certamente priva di pericoli, ma resa dura dalla pendenza e scivolosa dai ciuffi di paleo, le tipiche erbe graminacee che crescono sulle Apuane. Arriviamo ad una vecchia via di cava, che percorriamo per un breve tratto, quindi ci inerpichiamo su per un ravaneto fino ad un’altra cava abbandonata e qui Giovanni, che è avanti, si ferma quasi incredulo. Lo raggiungiamo e lo troviamo  esattamente davanti alla vasca dove quarant’anni prima era passato con suo padre! Un piccolo miracolo dei tanti che si verificano in montagna.

Proseguiamo  la salita, che si fa sempre più aspra e scivolosa, a causa del paleo bagnato: ogni passo va studiato con cura. E poi, finalmente eccoci sul crinale! Davanti ai nostro occhi si apre una vista mozzafiato sul mare e sulle montagne circostanti che ci ripaga della fatica fatta per raggiungere la meta. Si tratta, ora, di arrivare in vetta, ma questo, a confronto di quello che abbiamo fatto, è una passeggiata. Saliamo ancora e, a quota 1630 metri, troviamo il rudere di una costruzione metallica, la capanna Lusa Lanzoni, di cui rimane soltanto lo scheletro a causa di un misterioso incendio. E qui occorre fare un po’ di storia.

Il monte Corchia, grazie alle sue caratteristiche morfologiche, possiede nelle sue viscere il secondo complesso carsico d’Italia con i suoi 53 chilometri di gallerie attualmente esplorate, di cui due, quelle dell’Antro del Corchia, visitabili tutto l’anno. Per questo è sempre stato meta di gruppi di speleologi. La sezione speleo di Faenza progettò e, con l’aiuto di altri gruppi speleo, realizzò nel 1978 nelle vicinanze dell’Abisso Fighierà questa “capanna speleologica”, dedicata alla memoria di Antonio Lusa ed Ennio Lanzoni, quale punto di bivacco a supporto delle esplorazioni. Sul monte esistono delle cave dalle quali viene estratto il famoso e prezioso marmo arabescato; era pertanto inevitabile che i lavori di cava andassero ad interessare l’area carsica ed a cozzare con l’attività speleologica. Da qui nacque un contenzioso che si protrasse per anni fra cavatori e speleologi e che si risolse con la chiusura delle cave che interessavano il sito speleologico. Nel 1994 il bivacco venne completamente distrutto da un incendio doloso i cui autori non sono mai stati trovati. A tutt’oggi alcune cave, grazie ai vari ricorsi, continuano la loro attività. Viene però spontanea la condanna per lo scempio che questi lavori estrattivi stanno provocando sulla montagna deturpandone sempre più velocemente il suo magnifico aspetto.

Nel frattempo proseguiamo verso la vetta: 1677 metri, che raggiungiamo in pochi minuti e da dove possiamo godere uno spettacolo impagabile. Le Panie, il Pizzo delle Saette, la Penna del Sumbra, il Fiocca, l’Altissimo e poi ancora la valle del Turrite Secca, l’Appennino al di là della Garfagnana e ad ovest il mare. La discesa, dopo un primo tratto scosceso, avviene tramite una via di cava che in breve ci riporta a Fociomboli. Mentre ci stiamo cambiando le calzature, arriva un gruppo di persone che ci chiede: ”Venite dal Corchia?” Alla nostra risposta affermativa continuano “Li avete visti quei quattro matti che si arrampicavano come capre sul versante del monte?”.

Glissiamo.