Il turista che arriva in Lunigiana percorrendo l’autostrada troverà ad accoglierlo due cartelli: uno, con l’effigie delle statue stele (di cui parleremo un’altra volta), l’altro, per chi arriva da Parma, con un’immagine di Dante accompagnata dalla scritta “Benvenuti in Lunigiana, terra dantesca”.
Il sommo poeta ha infatti frequentato queste terre nel suo pellegrinare a causa di quell’esilio politico, che lo tenne per sempre lontano dalla sua amata Firenze. In occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla sua morte, si sono moltiplicate le iniziative in Italia ed in terra di Lunigiana, durante le quali ogni comune ha cercato di accaparrarsi una fetta della fama di Dante, vantando avvenimenti o soggiorni nei vari castelli che punteggiano il territorio. Ecco quindi la storia di Dante che si ferma al castello di Fosdinovo, dove, si narra, che, affacciandosi dalle finestre, scorse lungo le creste delle Alpi Apuane la sagoma di Beatrice dormiente, oppure, spostandosi in quel di Villafranca, dove, secondo un’altra leggenda, pare che, oltre ad aver soggiornato in un castello di cui oggi non rimangono che poche rovine, sia stato anche ispirato per scrivere di quella selva oscura, camminando sotto le fronde della selva di Filetto. Tra le tante attestazioni, vere o false che siano, ce n’è anche una abbastanza bizzarra, secondo la quale Dante avrebbe sostato anche presso il castello di Verrucola di Fivizzano, perché aveva una tresca amorosa con una contadinella della frazione di Moncigoli. Spenderò solo due parole per questa incredibile notizia: il pettegolezzo sembra sia stato creato ad arte da alcuni buontemponi, di cui non farò il nome, i quali al termine di una serata ad alta gradazione alcoolica, sulla scorta di quanto accadde a Livorno con le false teste di Modigliani, decisero di spargere questa notizia per puro diletto. Mai avrebbero pensato che questa storiella avrebbe assunto un’importanza tale che, ancora oggi, qualcuno la tramanda, convinto che sia un fatto realmente accaduto. Potere della persuasione! Torniamo a Dante, quello vero, quello che effettivamente transitò in Lunigiana. Per avere certezze storiche ho chiesto aiuto a due amici: Serena Pagani, filologa e ricercatrice dantesca e Mirco Manuguerra, direttore del Centro Lunigianese di Studi Danteschi. Ci siamo dati appuntamento a Mulazzo, presso la sede del piccolo Museo dedicato a Dante e gestito dall’associazione stessa. Prima di entrare in questa antica torre medievale, Manuguerra mi fa notare, sullo stipite di una porta, una pietra con sopra inciso una frase “Qui giace Rossellino di Ghino da Pistoia, MCCCXXXVIII”. Subito la memoria va a quel Cino da Pistoia, letterato e giudice amico di Dante, che, pur se esiliato da Pistoia nel 1302 perché guelfo di parte nera, poté tornare in patria grazie all’intervento di quel Moroello Malaspina che protesse ed ospitò Dante in Lunigiana. La presenza del sommo poeta si fa man mano sempre più presente e tanto è lo stupore quando, aprendo la porta dell’edificio, ho il piacere di osservare il prezioso lavoro dei miei due amici: le pareti sono piene di documenti, libri antichi e moderni, dipinti, riproduzioni, poster esplicativi, tutto per ricomporre la figura del Sommo Poeta, che con le sue opere ha forgiato la natura di una nazione intera. Mirco mi spiega che alla fine del XVIII secolo, da alcuni atti notarili, emerse un documento attraverso il quale sappiamo che “la mattina del 6 ottobre del 1306 Dante Alighieri si trovava in Piazza della Calcandola in Sarzana (l’attuale Piazza Matteotti) a ricevere da Franceschino Malaspina una procura generale atta a trattare in nome e per conto dell’intera marca dello Spino Secco un trattato di pace con Antonio Nuvolone da Camilla, il potente vescovo-conte di Luni. Ed è storicamente certo che entro la mattina di quello stesso giorno, in compagnia di testimoni e dello stesso notaro Parente di Stupio, Dante saliva al Palazzo dei Vescovi in Castelnuovo Magra per siglare la storica intesa.” Questi documenti costituiscono ad oggi l’unica testimonianza certa della presenza di Dante in Lunigiana, dove rimase per ben sei mesi dalla data dell’assegnazione della missione diplomatica.
Il versante Apuano su cui si affaccia la Lunigiana viene citato solo una volta nel XX canto dell’Inferno:
“Aronta è quei ch’al ventre gli s’atterga,
che ne’ monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga,
ebbe tra’ bianchi marmi la spelonca
per sua dimora, onde a guardar le stelle
e ‘l mar non li era la veduta tronca.”
Sono i famosi versi attraverso i quali il Poeta celebra la figura di Aronte, l’indovino etrusco che ai tempi della guerra civile tra Cesare e Pompeo predisse la vittoria del primo sul secondo e che si fa qui dimorare in una grotta («spelonca») posta tra i «bianchi marmi» delle Alpi Apuane («monti di Luni»).
Sappiamo per certo che Dante passò da Ameglia, nell’antichissimo cenobio benedettino di Santa Croce del Corvo, come tramandato dall’epistola di Frate Ilaro del Corvo ad Uguccione della Faggiola (trascritta niente meno che da Giovanni Boccaccio). Dante salito al monastero, affidò al buon Ilaro una copia autografa dell’Inferno da trasmettere in dedica assoluta al condottiero ghibellino Uguccione della Faggiuola, alla cui famiglia quella struttura era strettamente legata. Nella lettera si rivelano anche i destinatari dell’altre due cantiche, per cui sappiamo che il Purgatorio sarebbe stato riservato a Moroello II Malaspina marchese di Giovagallo, colui che è indicato come «vapor di Val di Magra» in Inf XXIV 145, ovvero il protagonista della Leggenda dei primi sette canti dell’Inferno e uno degli artefici della Corrispondenza poetica tra Dante, Cino e Moroello di Giovagallo.
È quasi certo il passaggio dal castello di Bibola, Bolano e Carrara. Sicuramente passò da Castelnuovo, dove venne firmata la pace tra Antonio Nuvolone da Camilla ultimo vescovo conte di Luni e Dante, forte della procura rilasciatagli dal notaro Ser Giovanni di Parente di Stupio per conto di Franceschino Malaspina marchese di Mulazzo. E poi ancora Lerici, Mulazzo, Fosdinovo, Sarzana, Falcinello, Giovagallo, La Spezia, Luni, Ponzanello, Porto Venere, Santo Stefano Magra, Villafranca. Ognuno di questi paesi ha una ragione storica per poter vantare di possedere una “orma dantesca”, che è impossibile riprodurre in queste poche righe. Serena e Mirco sono un fiume in piena, non riesco più a stargli dietro mentre snocciolano nomi, date, luoghi, avvenimenti, ma stare ad ascoltarli è un piacere per le orecchie e per la mente e mi rendo conto che il desiderio di scrivere un articolo per dimostrare il passaggio di Dante in un paese piuttosto che in un altro mi si è ritorto contro come un boomerang. Non basterebbero cento pagine per raccontare tutto quello che mi hanno spiegato ed anche il fascino non sarebbe davvero lo stesso. Alla figura di Dante si legano i nomi e le vicende dei Malaspina, le canzoni dei trovatori, i versi e le cantiche di altri scrittori e poeti medievali, i personaggi citati nei versi dell’immortale “Divina Comedia”. Ci si sente piccoli davanti a tale pilastro della cultura non solo italiana, ma di tutto l’occidente. Mentre parlano e raccontano, un turista straniero timidamente entra, forse più per trovare rifugio dal caldo asfissiante, getta uno sguardo distratto e poco dopo se ne va. Mi rammarico di vedere questo minuscolo tempio del sapere, uno dei tanti piccoli gioielli sparsi per la Lunigiana, privato della notorietà che gli spetterebbe di diritto, sia per l’argomento trattato, sia per la cura e la dedizione che i membri del Centro Studi vi ripongono.
Mirco e Serena mi regalano un francobollo rievocativo dei settecento anni, mi riempiono le tasche di brochures e promettono di mandarmi del materiale in più da poter leggere tranquillamente a casa (promessa mantenuta). Scendiamo verso il bar sottostante dove gli offro da bere qualcosa di fresco: brindiamo a Dante, ai Malaspina e alla Lunigiana ed io, sotto sotto, penso che, forse, immaginare che il sommo poeta possa essersi innamorato di una giovane contadina del fivizzanese è, sì un’idea un campata in aria, ma molto romantica, umana e divertente.