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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Passeggiata nel Chianti con Claudio Bonci: Barbischio e il Gallo Nero

DiSilvia Ammavuta

Lug 29, 2023

terza parte

Dopo aver bevuto un buon bicchiere di vino, Claudio Bonci riprende il racconto sul castello di Barbischio: “Barbischio viene chiamato castello, ma è più corretto chiamarlo castellare. La differenza tra i due termini è che i castelli per antonomasia sono arroccati in altura, con torre di difesa a controllo, ed hanno la cinta muraria di protezione. Quando in un castello viene a mancare la cinta muraria per svariati motivi: frane, crolli naturali, distruzioni belliche, e restano le case a perimetro di queste mura il castello viene declassato a castellare. Barbischio era già castellare nel 1086: evidentemente le mura erano già crollate, non sappiamo se per eventi naturali o distrutte, sappiamo che non c’erano più. Nel 1220, con l’editto di Federico II, Barbischio, insieme a tutti i castelli della zona, dopo essere stato sotto il dominio dei Firidolfi Ricasoli, passa ai conti Guidi del ramo dei Battifolle, una località del casentino, i quali diventano signori di Barbischio insieme a Moncioni; infatti, la strada sterrata che da Barbischio sale verso il crinale, e che scende nel Valdarno a Moncioni, era la via di collegamento dei due castelli dei conti Guidi. Quello che è curioso: Gaiole e tutta la parte nostra chiantigiana, insieme al Valdarno, sono sotto la diocesi di Fiesole, mentre Barbischio è tutt’oggi sotto la diocesi di Arezzo, proprio perché il castello era di una famiglia aretina.  Nel 1230, prima della leggenda che nasce a metà del 1200, i senesi entrarono in zona e distrussero buona parte del castello di Barbischio. Dopo questo fatto sappiamo  che tutto il Chianti passò sotto la Repubblica Fiorentina”.

La leggenda del Gallo Nero

“Le dispute fra Firenze e Siena erano continue. Un giorno, però, anziché combattere una vera e propria guerra per l’assegnazione dei confini territoriali delle due Repubbliche, i capitani del popolo delle due città decisero di non combattere fisicamente ma di confrontarsi in una sfida cavalleresca. Stabilirono un giorno, in cui due cavalieri sarebbero partiti al canto mattutino del gallo. Un cavaliere sarebbe partito da Firenze in direzione Siena e l’altro da Siena in direzione Firenze. Fu così che le due città scelsero ognuna il proprio gallo: i senesi ne scelsero uno bianco, i fiorentini uno nero. I senesi, però, sbagliarono strategia perché coccolarono troppo il loro gallo, lo fecero mangiare e riposare per essere  pronto per il grande giorno, ma  il giorno stabilito, all’alba, il gallo ben pasciuto e sereno non si svegliò e non cantò. I fiorentini, invece, decisero di lasciare il loro a digiuno per tre giorni e tre notti, il giorno della sfida il gallo fiorentino cantò ancor prima che ci fosse l’alba, da tanto era affamato, di conseguenza il cavaliere fiorentino partì con largo anticipo rispetto a quello senese. L’ anticipo fu così ampio che l’incontro avvenne alle porte di Siena. Si racconta a Croce Fiorentina, a Fonterutoli,  nome che fu dato proprio perché il cavaliere fiorentino vi piantò una croce, che da quel giorno tutta la nostra area chiantigiana passò definitivamente sotto la Repubblica Fiorentina. Questo fino all’arrivo di Napoleone che ridisegnò la geografia italiana, creando quelle che oggi sono le provincie attuali. Per ricordare quell’episodio e l’appartenenza del Chianti alla città di Firenze, il Gallo Nero è stato scelto oggi per il consorzio del Chianti Classico. Seppure questa sia una leggenda, sappiamo  che vi è sempre un fondo di verità, per questo, probabilmente, i militari che difendevano i confini della Repubblica Fiorentina e che costituirono, tra la fine del ‘200 e l’inizio del ‘300, la Lega Militare del Chianti avevano come simbolo del gonfalone un Gallo Nero. Vasari nel salone dei cinquecento quando dipinse le allegorie delle terre fiorentine, in quella del Chianti appose su di uno scudo un Gallo Nero.