• Ven. Set 20th, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

OLTRE|FRONTIERA

Destinazione: Mindelo, São Vicente, Capo Verde

Coordinate: 16°53′N 24°59′W

Distanza da Firenze: km 4.522

Da due anni, la “Guardião” ormeggia, possente e dissonante, al molo principale del porto turistico di Mindelo, città portuale di una delle dieci isole di origine vulcanica che formano la Repubblica di Capo Verde, un arcipelago situato a circa 500 chilometri dalle coste del Senegal, nell’Oceano Atlantico. Circondata da imbarcazioni turistiche e pescherecci più o meno malmessi, la nave è un pugno in un occhio, con il suo colore grigio, le antenne radar, le grandi scritte in vernice bianca. È una motovedetta della guardia costiera locale, dotata delle più moderne strumentazioni; l’unica della flotta con una stazza sufficiente per operazioni in acque internazionali. Ogni giorno, sotto un sole cocente, marinai e tecnici specializzati lavorano alacremente per assicurarne la perfetta manutenzione, in vista della prima missione; ma, a causa di un malfunzionamento del software di navigazione che la statunitense Caterpillar tarda a riparare, per adesso questo piccolo gioiello non può prendere il mare. Ed è un vero peccato, perché il suo impiego nella battaglia che Capo Verde porta avanti da più di dieci anni, sarebbe stato determinante. Stiamo parlando della lotta contro il traffico internazionale di cocaina.

A parte le vendite on-line, nessuna attività sembra aver superato meglio la pandemia. Nonostante i sequestri sempre più numerosi e imponenti, nonostante gli arresti di componenti di primo piano delle varie organizzazioni criminali che lo controllano, il settore è in costante crescita. E Capo Verde è diventato un ingranaggio importantissimo di questo meccanismo ben oliato. Con i suoi mille e passa chilometri di coste, e la sua vicinanza con l’africa nord occidentale, l’arcipelago si è trasformato in una perfetta testa di ponte fra l’oceano e il continente. Al largo delle sue acque territoriali le grandi partite di cocaina vengono divise in partite più piccole e trasferite su pescherecci e imbarcazioni turistiche, che possono raggiungere facilmente, e senza destare sospetti, i paesi dell’Africa occidentale a nord del Golfo di Guinea, dai quali la preziosa polvere bianca intraprende il lungo viaggio attraverso il deserto, che la porterà fino ai consumatori finali europei.

Anni fa Capo Verde ha rischiato di diventare un vero e proprio “narcostato”, cioè un paese in cui il traffico di droga e il riciclaggio, permeano e regolano ogni aspetto della vita politica e sociale di un paese, con l’accondiscendenza delle istituzioni, ottenuta attraverso un sistema corruttivo trasversale e omnicomprensivo. Dopo che, nel 2011, alcuni trafficanti sono stati colti in flagranza di reato mentre cercavano di spostare una  tonnellata e mezzo di cocaina da alcune barche ad un garage di un condominio, la popolazione di Capo Verde ha vissuto un periodo di paura, dovuto ad una serie di attentati di carattere ritorsivo ed intimidatorio. A quel punto la scelta era: diventare uno stato vassallo dei grandi boss della droga, oppure lottare per lo stato di diritto e l’integrità sociale. Saggiamente, è stata scelta la seconda strada e, altrettanto saggiamente, è stato deciso di chiedere aiuto, in quanto quella era una battaglia insostenibile per le poche forze a disposizione della piccola repubblica. Capo Verde, una delle poche democrazie stabili dell’Africa occidentale, è stata considerata un potenziale alleato affidabile da Stati Uniti ed Unione Europea nella loro lotta contro il narcotraffico internazionale, e non hanno esitato a mandare aiuti per migliorare il lavoro della polizia, della dogana, della magistratura, dei servizi investigativi. Qui, UE e Nazioni Unite organizzano regolarmente corsi di formazione sull’evoluzione del crimine organizzato collegato alla distribuzione della droga. I cartelli sono come multinazionali strutturate ed efficienti. Le enormi risorse che hanno a disposizione, consentono loro di trovare sempre nuove soluzioni per superare eventuali ostacoli alla distribuzione del loro prodotto, e chi è impegnato nel contrasto al traffico di droga deve tenersi aggiornato sulle nuove metodologie di contrabbando. Sempre a Capo Verde, gli Stati Uniti hanno costruito il Cosmar, un centro di coordinamento che tiene sotto controllo tutto il traffico marittimo, segnalando tutte le navi sospette. Ancora l’UE, infine, finanzia una struttura intergovernativa per aumentare la collaborazione tra gli stati del quadrante, quando si tratta di intercettazioni in acque internazionali. I risultati di questo massiccio impiego di forze non hanno tardato ad arrivare. Nell’ottobre del 2022, proprio su una barca ormeggiata a Mandelo, sono stati sequestrati due quintali di cocaina, mentre nelle acque territoriali dell’arcipelago la guardia costiera ha messo a segno un colpo clamoroso, con il sequestro di ben 5,6 tonnellate di cocaina, nascosta su un peschereccio battente bandiera brasiliana, proveniente dal Brasile. Un sequestro dal valore record di 330 milioni di euro.

Ma a fianco delle grandi operazioni, coordinate e realizzate da queste sovrastrutture investigative e di controllo, c’è il lavoro quotidiano delle forze di polizia locali. Qualunque barca ormeggiata è sospetta. Tutti possono trasformarsi in corrieri della droga. Per cui bisogna stare attenti ai particolari. Le barche parlano. Un ormeggio troppo prolungato, cioè senza attività di navigazione, o l’assenza di attività a bordo, rende una barca sospetta; una cattiva manutenzione sulle barche più grandi e lussuose è una cosa sospetta: funi annodate male sono segno di un equipaggio inesperto, e quindi potenzialmente sospetto. Ma per salire a bordo e ispezionare una barca ci vuole un mandato, e quindi delle prove quasi inconfutabili. Capo Verde è un paese molto povero, e vive di pesca e turismo: frequenti irruzioni non giustificate, oltre ad onerosi rimborsi da versare al destinatario dell’ispezione, possono disincentivare l’arrivo del ricco turismo marinaro. Quindi è un lavoro lungo, fatto di osservazione e conoscenza dell’ambiente.

Al di là delle acque cristalline, dei resort, delle immense spiagge bianchissime, degli anfratti esotici irraggiungibili se non via mare, c’è una realtà un po’ diversa, più vicina ad una favela brasiliana, che al paradiso tropicale presente nell’immaginario collettivo. Nonostante tutti gli sforzi e gli straordinari risultati ottenuti nella lotto contro la colonizzazione dell’arcipelago da parte dei cartelli sudamericani, nella periferia di Pria, la capitale, e nelle zone più interne, l’impronta della presenza del narcotraffico è comunque evidente. Si respira aria di violenza e di svilimento, con bambini che seminudi che hanno atteggiamenti da gangster, oppure gente strafatta che vaga per le strade polverose e deserte.

Lungo la cosiddetta Highway 10, ovvero la rotta che segue il decimo parallelo nord, usata per il trasporto degli schiavi, il traffico internazionale ha subito dei durissimi colpi, soprattutto nella parte finale del viaggio, nelle acque davanti alle coste dell’Africa occidentale, con migliaia e migliaia di tonnellate di cocaina sequestrate in meno di quattro anni. Ma se una rotta non è più sicura, i cartelli ne trovano subito un’altra, con nuovi punti di approdo meno controllati, o amministrazioni locali più facilmente corruttibili, in quello che sembra un inseguimento senza fine.

Ma Capo Verde ha da tempo deciso di non  arrendersi. Un giorno il capitano Silvo Cardoso smetterà di presentarsi sul ponte della “Guardião” soltanto per impartire ordini di ordinaria manutenzione ai suoi venti marinai. Quel giorno la “Guardião” prenderà il mare, lasciandosi alle spalle il sonnacchioso porto di Mindelo, e Capo Verde avrà una straordinaria arma in più per combattere la sua piccola, grande battaglia contro l’invasione dell’oro bianco.

Fonte: Internazionale, Wikipedia