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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La creazione è mentale: Piero Bertelli scultore

DiSilvia Ammavuta

Mag 13, 2023

Diari Toscani incontra lo scultore Piero Bertelli, nato a Montelupo Fiorentino, cittadina nella quale vive e lavora. Ha studiato ceramica, disegno della figura e modellato alla scuola professionale “Il villaggio” a Signa. Ha all’attivo molteplici mostre, collaborazioni negli Usa e in altri paesi esteri. È vicepresidente della Fornace Pasquinucci.

Maestro Piero Bertelli lei è un figlio d’arte?

No, nipote d’arte. Un mio zio materno era ceramista, a lui devo i primi insegnamenti di disegno e ornato per la ceramica quando avevo dodici, tredici anni.

Cos’è l’arte per lei?

È un mestiere di grande soddisfazione.

Nella lingua latina, nell’atto di scolpire è racchiusa l’idea dell’intagliare, mentre nella lingua greca quella del plasmare, quale delle due sente più sua? E perché?

Plasmare: ho sempre usato materiali plasmabili: creta o cera.

Come è la sensazione di plasmare, dare forma?

È una sensazione bellissima perché ubbidisce alle mani, il tatto ha una grande importanza. Anche quando l’opera è finita la sensazione di passarci sopra le mani, accarezzarla, sentire la finitura, è altrettanto bella. Anche il materiale stesso dà delle sensazioni di perfettibilità, e di padronanza, quando è tutto azzeccato, specialmente per la cera, è meraviglioso.

Possiamo dire che per arrivare ad essere l’artista che è oggi lei abbia fatto la gavetta?

Sì, indubbiamente. Nella mia famiglia non avevamo grosse possibilità economiche per fare studi di specializzazione: eravamo in sei, perciò a quindici anni andai in una scuola professionale per la ceramica. Di lì a poco feci quello che oggi si chiama stage nella fonderia artistica Ferdinando Marinelli, che aveva sede a Firenze, in via Filippo Corridoni,  e cercava c un ragazzo da formare, quindi si può dire che ho fatto lo scultore di bottega. A questa formazione seguì un’assunzione: avevo sedici anni e sono rimasto a lavorare in fonderia per quaranta anni, come dipendente, e i successivi venti come libero professionista per consulenze e modelli di sculture. In fonderia c’erano molti artisti e lavoravo per e con loro. Grazie al mio lavoro in fonderia ho potuto realizzare il sogno di fare l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Si trattava di  una scuola speciale e, pur essendo sotto l’Accademia, era una cosa a sé stante:  la scuola libera del nudo, dove disegnavamo dal vero in corsi di specializzazione annuali. Nel periodo in cui lavoravo in fonderia, la sera tornavo a Montelupo e dopocena  facevo cinque chilometri in bici per andare a lezione di disegno di figura e geometrico,  lezioni che pagavo con il lavoro in fonderia.

Maestro lei ha fatto anche un’esperienza lavorativa in America…

Sì, a San Francisco, ed è stata una bellissima esperienza: ho lavorato in una fonderia di proprietà di un italiano, nella quale era impiegato personale americano, ma con origini da tutto il mondo. Parlavamo prevalentemente in spagnolo e, all’occorrenza, l’inglese lo parlava mia figlia che mi accompagnò in questo viaggio. Lei è scultrice e insegna scultura al liceo artistico di Empoli. Ci sono stato due mesi e la volta successiva un mese. Ho lavorato fianco a fianco con un incisore per il quale facevo  i modelli in cera.

Qual è la differenza fra arte e artigianato?

Non c’è differenza, uno può essere un buon artigiano e non essere un artista, ma un artista deve essere un buon artigiano.

Lei usa tutt’oggi la tecnica della cera “persa”, di cosa si tratta?

Sì, per la fusione del bronzo, e come dice lei, si chiama “persa”. Le spiego per sommi capi, altrimenti diventa complesso. Innanzitutto si fa il modello in cera, dopodiché lo si ricopre con materiale refrattario e poi viene messo nel forno e scaldato. Nel materiale refrattario vengono lasciati dei canali in modo che, la cera arrivata al punto di fusione, coli via. A quel punto viene colato del bronzo fuso nello spazio che si è liberato dalla cera. Quella cera non viene recuperata perché essendo stata scaldata non è più buona.

Il suo studio è un ambiente grande e pieno di calchi…

Sono 147 metri, e come vede sono circondato da tante forme: tutto si può dire fuorché ordinato, anzi, c’è una grande confusione, ma sa, ciò che agli altri può apparire disordine per me è ordine.  

Quanta importanza ha l’ambiente in cui si crea?

Credo sia così per tutti gli artisti: devo sentirmi a mio agio, avere sottomano sculture, vecchi ricordi. È  un ambiente privato e non amo che altri ci mettano le mani. Comunque, ho lavorato in tanti ambienti: basta ci sia una fonderia e mi sento a mio agio. Sono molto curioso per cui ogni fonderia è una scoperta.

Quindi essere curiosi è positivo?

È il motore che ci permette di andare avanti e imparare, per me essere curioso significa questo. Curiosità e umiltà: mai avere la presunzione di sapere. Non si finisce mai di imparare, a qualsiasi età e anche con anni di esperienza.

Si è mai rifatto all’ “antichità” per le sue creazioni?

Sì, è un bagaglio culturale che ci portiamo dentro, ciò che abbiamo visto è nel nostro inconscio e viene fuori. Ho studiato tanto in fonderia su modelli classici e sono molto legato a questa visione dell’arte.  Più bagaglio culturale si ha e più facile è la creazione. Per esempio, per una statua di San Michele Arcangelo avrei dovuto fare un’armatura in metallo, ma non era adatta. Mi rifeci al David del Verrocchio e trovai la soluzione.

Quindi dal passato si impara?

Si impara lavorando, in tutte le professioni e, pur attingendo dal passato, poi si elabora. Senza passato non c’è futuro.

Come nasce una scultura, qual è il la che la porta a dare vita a una creazione? Da dove arriva l’ispirazione?

L’ispirazione arriva da un manufatto culturale o da una commissione o da una situazione mentale; da quel momento si inizia a dare forma, prima nella testa. La creazione è mentale.

Come riesce a trovare nelle sue sculture l’equilibrio tra vuoto e pieno?

È un lavoro tecnico: sono abituato a fare il pieno, attraverso il modellato cerco l’armonia tra pieni e vuoti, anche grazie all’esperienza. Ho capito che la creazione è armonia.

A seguito di quanto mi ha detto, cos’è per lei l’armonia?

Il senso più alto dell’armonia è la creazione dell’Universo. L’artista, come diceva Leonardo, è quello più vicino al Creatore perché studia e copia la creazione e tutte le manifestazioni della natura.

L’arte si insegna? E parallelamente le chiedo: l’arte si impara?

Si impara il modo di esprimersi, poi dipende se qualcuno ha qualcosa da dire, ovviamente ci vuole la tecnica, e quindi il mestiere.

Oggi, davanti a un manufatto antico, come può essere un vaso etrusco, lo ammiriamo  come un oggetto d’arte, mentre, nel passato, era un oggetto di uso comune. Arte e vita viaggiano parallelamente?

Prima gli oggetti di uso comune avevano il senso dell’arte, oggetti con equilibrio di forme, perciò belli, in fondo. Oggi come allora c’è chi usa vasellame pregiato e chi piatti di plastica. Nel passato, come del resto ai tempi nostri, c’era chi poteva permettersi cose più pregiate e chi invece no.

Cos’è la fragilità per il Maestro Piero Bertelli?

Nel lavoro La fragilità è quella che non ci permette una buona riuscita del lavoro. Con materiali fragili non si posso fare opere più ardite. Se parliamo di fragilità umana, si può dire che una persona sensibile sia più fragile. Vede, la vita non è sempre uguale, ci sono gli imprevisti, le difficoltà, quindi anche chi non è fragile può succedere che lo diventi.

Progetti futuri?

Non ho grandi progetti, gli anni passano e la forza fisica diminuisce…

A questo proposito, quanto è importante la forza fisica nel suo lavoro?

La forza fisica è necessaria nei lavori grandi. Ora penso in grande e faccio opere più piccole, per esempio: bozzetto di un  metro e opera di tre metri. Dodici anni fa, avevo settanta anni, mi venne chiesta una scultura per un parco delle sculture a Skopje, la capitale della Macedonia. La  lavorai in sezioni perché era una scultura grande: un cavallo con cavaliere. Trecentocinquanta quintali di creta, per un’altezza di  sette metri e mezzo.