parte terza
Al fine di comprendere a fondo le già citate teorie pedagogiche di Freire, non possiamo esimerci dal ricordare che tutta la popolazione africana è stata oggetto della tratta degli schiavi e vittima della colonizzazione che ha voluto sostituire la potenza della cultura locale, per imporre, con violenza, la nuova forma di educazione, per scopi esclusivamente economici. Tutto ciò, unitamente alle difficoltà economiche di molti governi ad investire nell’educazione e alla ben celata volontà di altri, di far giacere la popolazione nell’ignoranza più crassa, ha generato in milioni di persone una forma mentis che vede il continente africano con uno sviluppo sui generis, di cui vogliono essere orgogliosi, ma che intende l’Africa al di fuori del reale sviluppo. “Il mondo si sviluppa, l’Africa pure” è lo spot di una nota società africana di telefonia mobile della Repubblica Democratica del Congo, la Vodacom, che pubblicizza e convince i consumatori ad acquistare i suoi prodotti. È palese in questo spot l’idea che “Africa non è mondo”, ma ciò che fa ancor più male è notare che esso riesce a conquistare la mente del nostro popolo, prova ne è il fatto che il motivo è diventato un tormentone canticchiato orgogliosamente anche in alcuni stati limitrofi inconsapevoli della violenza subita.
A giudizio della stragrande maggioranza degli africani, quando una regione progredisce in modo significativo, semplicemente cessa di essere Africa, o perlomeno, non identifica come proprie le ragioni che ne hanno determinato lo sviluppo: quella di questo continente non è una storia del mondo. Il suo essere è statico, non manifesta movimento o progresso, tutta la storia che ha caratterizzato il passato, in particolar modo a nord del continente, è stata esclusiva e condizionata conseguenza di popoli asiatici o europei. “Non essendoci consapevole evoluzione della ragione e del pensiero del suo essere storia, semplicemente l’Africa non è storia del mondo”. (Hegel, 1970). Rimane comunque evidente il fatto che sono passati quasi sessanta anni dalle indipendenze e, anche se oggi alcuni paesi sembrano voler avviare un minimo sviluppo, l’Africa, in generale, è assente, lontana da una tale possibilità che venga dal suo interno. Ciò perché, così come sosteneva lo stesso Hegel: “L’uomo è la sua storia e l’evoluzione di un popolo si manifesta in quanto egli è in grado di interpretarla o meglio, di esprimerla nella tecnologia, nella scienza e anche nella religione”. Per l’Africa non è stato così.
La nostra vita è influenzata dal contesto storico e sociale: le condizioni economiche e politiche, la scienza del nostro tempo, possono incidere sul nostro modo di pensare, di reagire e di rispondere alle diverse circostanze della vita e alcuni avvenimenti, come la guerra, la carestia, la miseria possono cambiare la visione dell’uomo e del mondo, allo stesso modo il contesto educativo, i programmi scolastici, le tecniche pedagogiche possono influire positivamente o negativamente sull’evoluzione del singolo e della collettività. Il fatto che l’Africa abbia ancora oggi un elevato tasso di analfabetizzazione, sollecita il sospetto che la realtà in cui essa verte, sia ancora favorevole a chi l’ha sottomessa e schiavizzata da secoli. Siamo infatti d’accordo con ciò che affermava Barak Obama, in occasione della sua rielezione: “Quello che fa di noi la prima potenza, del mondo, non sono le nostre armi ma le nostre università”. Perciò se tra la ricchezza e la povertà ciò che fa la differenza è soltanto anche un pezzo di carta, così come sosteneva un direttore indiano, di fronte alla grande e repentina evoluzione del mondo, l’Africa non può essere al passo.
Attualmente, quando si parla di questo continente, si pensa subito alla miseria, alla guerra, al sottosviluppo, alla fame, alla corruzione. È questa, purtroppo, la realtà africana voluta anche dal sistema politico locale i cui reggenti, più che opportunisti e impreparati, si preoccupano di mantenere solido il rapporto con l’Occidente. Essi sono considerati i più corruttibili del pianeta come, purtroppo orgogliosamente ed esplicitamente, rispondono in molte zone del continente, quando un europeo lamenta una forma di disorganizzazione o di abuso nei loro confronti: “This is Africa!” oppure “This is not the world!….It’s only our world!….”