Diari Toscani incontra il pittore Tullio Petteni. Nato a Bergamo, città in cui vive, Petteni è cresciuto in una famiglia di artisti, sia di parte materna, sia paterna. Ha fatto molteplici mostre personali in Italia e negli Stati Uniti, le sue opere sono presenti in collezioni permanenti.
Tullio Petteni, quanto respirare aria d’arte in famiglia forma un individuo?
Essendo cresciuto in una famiglia di artisti, respirare aria d’arte era la cosa più normale che ci fosse e, pur traendo piacere nel disegnare, non avevo mai pensato di fare il pittore. Insomma, diciamo che fino ai venti anni mi ero un po’ perso, poi ci fu una svolta decisiva. Un giorno, il pittore Raffaello Locatelli, mio biscugino materno, mi invitò ad andare al suo studio una volta alla settimana. Le volte divennero presto due e poi tre, finché arrivai a trascorrere da lui tutti i giorni della settimana. Raffaello era il secondo di tre fratelli. Il maggiore, che io non ho conosciuto, si chiamava Romualdo e scomparve nelle Filippine, dove era andato durante la seconda guerra mondiale a dipingere. Tra le sue opere c’è anche un dipinto di Vittorio Emanuele III. Stefano, il minore dei tre, era uno scultore. A Bergamo sono presenti monumenti ai quali ha lavorato e nel cimitero della città sono numerose le sue opere, prevalentemente in bronzo. Altri suoi lavori si trovano a Roma.
Anche sua madre era un’artista?
No, per quanto da ragazza avesse una certa abilità nel disegno, vivendo proprio a contatto con i suoi cugini artisti. Le vicissitudini della vita, l’hanno costretta a rinunciare. Per lei avere un figlio pittore era la massima aspirazione. Da parte di mio padre c’era un letterato, Giulio Donati Petteni, poeta, scrittore e biografo di Donizetti, il nostro grande musicista. A Bergamo ci sono due scuole intestate a lui. Morì giovane per effetto dei gas respirati nella prima guerra mondiale. Era un capitano dell’esercito.
Maestro, oltre alla pittura, ha anche un’altra grande passione: l’aeronautica, cos’è che l’attrae della navigazione aerea, vedere il mondo dall’alto?
Non ho potuto volare da pilota, ma sono attratto dal volo e dagli aerei. Lo zio del quale le ho parlato, e che non ho ovviamente conosciuto, era molto amico del pilota triplice medaglia d’oro Antonio Locatelli. Chissà… forse arriva da lui. Il volo l’ho conosciuto dipingendo soggetti d’ispirazione aeronautica. Ho immortalato alcune volte le Frecce Tricolori. Ho il privilegio di avere due quadri esposti presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare, vicino a Roma, sul lago di Bracciano, a Vigna di Valle. Un altro, è stato per trent’anni dietro la scrivania del comandante della PAN. Oggi, nel salone di rappresentanza delle Frecce, c’è un’altra mia opera che ho dipinto in occasione del 55°della fondazione della PAN. Sono anche un appassionato di astronautica. Ho dedicato un mio dipinto a Yuri Gagarin in occasione del 60° anniversario del suo primo volo nello spazio che fu nel 1961. Sono onorato sia esposto nella mitica “Città delle stelle”, presso Mosca, dove vengono addestrati i cosmonauti, compreso, finora quelli italiani. L’arte deve avvicinare l’uomo e ciò che, oggi, succede in Ucraina, non deve farci dimenticare la grande cultura russa. A partire dalla letteratura e dalla musica. Ma anche dal fatto che l’Unione Sovietica ha aperto all’umanità le vie dello spazio. Amo anche la musica classica: dipingo sempre ascoltandola, è un po’ la mia “droga”. Inoltre, mi piace il cinema in genere, ma prediligo quello americano, anche se spesso i più bravi attori e registi americani sono di origine italiana.
I quadri parlano dell’artista?
Sì, parlano dell’artista, come diceva Picasso: ognuno dipinge se stesso.
A proposito di dipingere se stessi, lei ha fatto anche autoritratti: da dove arriva il desiderio di autoritrarsi?
Forse c’è un po’ di narcisismo, ma ne faccio pochi. Ho iniziato perché ritrarre se stessi è uno studio molto buono: si ritrae la propria personalità. E poi, quale modello migliore? Fa esattamente ciò che dici tu, quando ritrai altre persone, dopo un po’, spesso si stancano, cambiano posizione, espressione.
Tullio Petteni, pittore, si può ritrarre la realtà? E quanta illusione c’è nel pensare che sia veramente realtà?
Certo che si può dipingere la realtà, come è vero anche che è illusione pensare di vedere la realtà, perché attraverso l’arte viene modificata.
Vede, quando faccio pittura non faccio la fotografia, ogni artista ha la propria visione. Per me non è fermarmi alla figura, voglio che emerga l’individualità. Per esempio, mi piace anche l’astrattismo, pur non avendolo mai fatto. La mia è una pittura figurativa. In alcuni pittori si vede che non c’è tecnica: non sanno disegnare, non conoscono il colore. Quindi preferisco un quadro astratto, mentre sono un po’ critico sull’arte contemporanea. Mi è capitato anche di vedere quadri che sembravano fatti da una foto proiettata sulla tela. Se devo essere sincero non mi piace. Quando iniziai a dipingere, a 20 anni, il mercato della pittura era completamente diverso. Oggi forse c’è più benessere, ma meno cultura. In teoria, siamo più informati ma in pratica c’è meno capacità di capire e comprendere. Si è più attratti dal fumetto, con tutto il rispetto per i fumetti.
I suoi soggetti preferiti?
Tra i paesaggi, amo molto Venezia, e, quando facevo viaggi, avevo sempre con me la cassetta con i colori e i pennelli. Amo anche la Toscana, di cui mi attrae tutto. Il paesaggio toscano è creato dall’uomo e, per fortuna, mantenuto, è difficile trovare qualcosa che disturbi. Mi piace molto anche dipingere donne. Le donne mi piacciono, anche se sono un uomo fedele, ma riconosco e vedo la bellezza, e il corpo della donna, forse, è tutto ciò che c’è di più bello della natura. Inoltre ho una moglie bella, nonostante il passare degli anni, che si presta a farmi da modella, quindi è lei che ritraggo spesso. Anche il mio maestro dipingeva soprattutto donne. Mi è capitato di dipingere anche uomini, pochi in verità, erano amici o conoscenti, e qualche volta su commissione.
Lei è anche fotografo. Due forme d’arte in cui si può fermare il tempo. In una di esse si avverte un respiro, in quale delle due?
Faccio foto discrete, ma non sono eccelso. La foto mi serve come documento di viaggio. Dai lucernari del mio studio, guardando verso sud, vedo la nostra magnifica Città Alta, ad ovest intravedo le montagne, come il Resegone di manzoniana memoria. Dal lucernario rivolto a nord, ho il panorama di colline e montagne. Ho fatto finora centinaia di foto dal mio studio: ognuna diversa a secondo della luce, di una nube. La foto può essere il mezzo per fermare “quel tempo”, e in cui posso cogliere particolari, che vanno a coadiuvare la mia pittura, può essere l’idea per un quadro, ma questo avviene solo dopo anni di esperienza.
Maestro, lei dipinge anche all’aperto?
Dipingo ancora all’aperto, anche se oggi, in prevalenza, sono quadri di dimensioni più piccole. Dipingere in loco dà sensazioni bellissime, che, a volte, non sono proprio inerenti alla pittura. Una volta, avrò avuto poco più di trent’anni, ero in Maremma, in una proprietà di famiglia e abbastanza vicino c’era una base aerea. A un tratto mi arrivò il rombo di un aereo sulla testa, fu una forte emozione, e quell’emozione si rispecchiò nel quadro.
Quanto la vita di un artista è in relazione con le sue opere?
Continuamente in relazione, sono circondato dai miei quadri, ne ho veramente tanti, ma la voglia di dipingere persiste. Pensi che se sto due settimane senza, rischio di entrare in angoscia, è una sorta di crisi di astinenza, ho necessità di lavorare con il colore e i pennelli e creare. Ho bisogno di dipingere, è tutto il mio essere. Come diceva il poeta Rainer Maria Rilke: l’opera d’arte nasce dalla necessità interiore. Le dirò di più, ogni volta che sono davanti alla tela è come se fosse la prima volta, nonostante siano 60 anni che dipingo, e ancora mi meraviglio di riuscire.
Ha mai attraversato momenti bui di creatività? E se sì, come ne è uscito?
No, sono sempre stato abbastanza costante e direi che non ho mai vissuto quei momenti.
Quanto è importante la disciplina nella pittura?
È il massimo, almeno per parecchi anni. Come le ho detto ho avuto un maestro e per sette anni ho disegnato calchi di statue di Michelangelo, di Fidia ed altri. Sono una persona molto precisa negli orari e in un tutto ciò che faccio, inclusa la famiglia, e quindi anche, e soprattutto, nella pittura. Programmo, per avere la continuità del lavoro, la creatività va nutrita. Può succedere che una mattina mi alzi e non abbia voglia, ma vado lo stesso davanti alla tela, mi metto a dipingere e il quadro esce. Guttuso diceva: il pittore è come un operaio, la mattina si alza e si mette a dipingere.
Ci sono artisti il cui percorso è segnato da “periodi” in ciascuno dei quali vi sono tratti pittorici, tecniche e soggetti ricorrenti. È stato così anche per lei? Se sì, è corretto chiamarli percorsi evolutivi?
Non è il mio caso: non mi attiravano e non sono attratto da altre strade. Trovo soddisfazione e piacere nel dipingere con il mio stile e il mio tratto. L’unica cosa che posso dire è che ho sempre cercato, negli anni, di rendere la mia pittura profonda. Detesto tutto ciò che è superficiale, furbo, da “trovata”.
E della relazione maestro-discepolo cosa mi dice, dato che per lei ha avuto una lunga durata…
È una relazione in cui sono necessari stima, rispetto, fiducia, queste sono le fondamenta per costruire quel tipo di relazione. E così è stato con il mio maestro. Purtroppo, con l’andare del tempo, iniziò a chiedere un rispetto diverso: lo esigeva come un padre e questo suo atteggiamento mi risultò stretto, finchè avemmo una discussione con toni un po’ alti, al punto che venni via e chiusi i rapporti. Avevo 27 anni. Lui aveva un caratteraccio, e io avevo il mio. Ci rappacificammo anni dopo, purtroppo di lì a poco morì.
Parto dal presupposto che non si possa piacere a tutti, anzi, sarebbe un problema, se così fosse: lei cosa ne pensa?
Sarebbe un bel problema, di solito questo avviene in coloro che ambiscono alla visibilità e per far questo usano tutti i canali possibili. A me, sinceramente, non interessa, quanto faccio è per avere una mia soddisfazione personale.
Venezia Rialto, olio su tela. Tengo a precisare che è una mia personale considerazione: questo dipinto mi ha colpito particolarmente. Mi sono chiesta il motivo, e la risposta che mi sono data è che è un quadro dai colori malinconici, quasi fosse uno sguardo introspettivo.
La malinconia ha anche connotati positivi, ci porta ad avere ritmi meno frenetici, forse è lo stato d’animo più prossimo ai cicli della natura. Esiste un legame fra malinconia e creatività?
Beh, nella creatività c’è tutto, anche la pazzia! La malinconia è piacevole, la tristezza e la depressione no. Vede, per esempio, oggi è una giornata in cui il grigiore avvolge tutto, è una giornata cupa, è una giornata triste e non mi piace. Al contrario adoro i temporali e il gioco del colore dalle tonalità plumbee delle nubi, il loro compenetrarsi in azzurri, blu, cobalto che ne preannunciano l’arrivo. Mi piace anche la pioggia, ma oggi il cielo è bianco e non accenna neanche a piovere.
Si può dire che è un meteoropatico?
Prima non lo ero, con l’andare del tempo un po’ lo sono diventato. Oggi c’è il cielo bianco…
E la fragilità per Tullio Petteni cos’è?
Ah, la fragilità è quando non riesco a controllare le situazioni. Mi fa stare male.
Viaggiare nel tempo è viaggiare nella propria interiorità, quanto di questo viaggio c’è in un quadro?
Tutto: ogni quadro è un viaggio nell’interiorità. Alcuni quadri miei sono simbolisti. Ogni opera d’arte, dimostra che la vita non è sufficiente, è il nostro tentativo di fermare lo spazio-tempo.
Progetti futuri?
Vado avanti con il solito tran-tran, cioè dipingere e famiglia. Purtroppo ho un figlio disabile, che, ovviamente, al di là delle preoccupazioni per il suo futuro, impegna molto la vita. Fortunatamente, ho una moglie molto brava ad accudirlo ed una figlia, sua gemella. Anche lei è stata spesso mia modella e sta dimostrando di cavarsela bene nella vita. Mi piacerebbe poterle dire che sto organizzando un viaggio. Ho viaggiato abbastanza nella vita, in Italia e all’estero, purtroppo oggi, non mi è più possibile, per le ragioni di cui sopra. Vedremo!