Parte prima
La passione che mi lega all’Africa e alle sue diverse problematiche, costituisce il cavallo di battaglia delle ricerche socio-educative, politiche e socio-economiche, alle quali ho dedicato e dedico tempo prezioso della mia vita e verso le quali intendo ancora orientare le mie energie ed azioni, finchè mi sarà possibile.
In questa prima parte del mio articolo, i miei sforzi saranno diretti alla descrizione degli errori commessi in passato (ed in qualche caso, ancor oggi) dagli occidentali, nel propinare in Africa una pedagogia che non teneva conte delle innumerevoli diversità di razza, di cultura e società, estremamente accentuate nel continente. In poche parole: non si sono considerate le grandi differenze di abitudini e di modi di vivere, tuttora esistenti, tra gli africani (persino all’interno di uno stesso stato).
L’aver ricucito il modello pedagogico occidentale sulla multiforme realtà sociale africana, ha prodotto disagio e disorientamento nella popolazione, che credo debba recuperare le proprie radici per evitare di perdersi. In questo continente esistono molti fattori che influenzano e condizionano le scienze educative, quali:
-L’Africa è un mosaico di culture estremamente eterogeneo.
-L’influenza coloniale di Francia, Gran Bretagna, Belgio e Portogallo, che hanno sviluppato sistemi educativi o filosofie molto diversi.
-Posizioni ideologiche sull’apporto della tradizione tribale e della modernizzazione dei sistemi educativi.
-Dipendenza dei sistemi educativi africani da una diversità di fonti di finanziamento.
La teorizzazione del pensiero africano e le implicazioni riguardo alla concezione dei sistemi educativi hanno avuto un progresso sostanziale a partire dagli anni ’80. Prima di questo periodo, le informazioni chiave dell’educazione erano trasmesse da autori le cui preoccupazioni possono essere riassunte come trasmissione ai giovani della realtà e dell’esperienza che i “saggi” avevano acquisito. Nonostante tutto, però, i pedagogisti africani hanno poi agito con rapidità nel comprendere che era necessario un processo di sradicamento dei fondamenti di base dell’educazione tradizionale nelle loro società, per cercare di amalgamare i valori tribali alle nuove tendenze che, dagli inizi del ‘900, arrivavano dai colonizzatori i quali, tuttavia, non tentarono affatto di impedire che le tradizioni dei clan indigeni cadessero nella dimenticanza. A questo triste fenomeno, che durò, nel secolo scorso sino agli anni ‘70, cominciò gradualmente ad opporsi l’idea che la realtà vissuta dalle società africane, avrebbe dovuto essere analizzata in una prospettiva africana e da autori africani che comprendano realmente i tabù ed i mutamenti profondi, che si sono verificati in queste società, in diverse iniziative.
Alcune opere più recenti come ad esempio “A companion to african philosophy” (di Wiley – edito da “Kwasi Wiredu”- la cui ultima ristampa è del 2006), superano il limite concettuale della rivendicazione per gli intellettuali africani il diritto primario di analizzare la loro storia, riferendosi a strutture specificatamente indigene. Nello specifico questo importante testo segna una svolta nel pensiero filosofico e pedagogico, includendo resoconti della filosofia africana precoloniale e del pensiero politico contemporaneo. Così, anno dopo anno, cominciò una contestazione dell’interpretazione, che, gli intellettuali europei sostenitori della colonizzazione, avevano imposto della storia dell’Africa e del relativo sistema educativo.