Diari Toscani incontra Domenico Monteforte, pittore e tanto altro ancora. Nato a Pietrasanta vive e lavora tra Camaiore e Forte dei Marmi. Collabora con la Galleria Lazzaro By Corsi di Milano e Forte dei Marmi, e con la Galleria Turelli di Montecatini, ideatore del libro “L’Arte in cucina” (Mondadori).
Domenico Monteforte, un pittore appassionato di cucina, passione legata al mangiare o al creare?
Ho passato buona parte della mia infanzia nel ristorante di famiglia, mia madre era una cuoca, quindi sì: mangiavo, assaporavo e rubavo i segreti di cucina e poi, intorno ai 15, 16 anni, per mantenermi agli studi ho fatto il cameriere, e anche lì rubavo con gli occhi.
Si può asserire che cucinare è un’arte?
Credo di sì, chiaramente, anche in questo campo, è un discorso legato alla creatività. Io in cucina mi diverto, capita che talvolta apra il frigorifero, adocchi un qualcosa che mi stuzzica la fantasia e prepari un piatto, il trucco è abbinare i sapori. Ciascuno deve sposarsi con gli altri. Io cucino, mia moglie fa da mangiare.
Come crea i suoi piatti?
Il bello di vivere in una piccola realtà è che esistono ancora le botteghe: prodotti veramente a chilometro zero e, quindi, quando vado a fare la spesa posso trovare ingredienti freschi. Guardo, penso e acquisto, torno a casa e cucino.
Quanto è importante “il colore” in cucina?
È fondamentale. Può sembrare una banalità, ma è così, anche quando dormo io sogno a colori e quando cucino, mi piace esaltare i piatti con ingredienti che abbiano colori invitanti tipo arancioni, verdi, rossi. Non che gli altri colori non mi piacciano, ma un blu in cucina non mi verrebbe proprio di usarlo…
Arte pittorica e arte culinaria, vi è una corrispondenza?
Francamente, per me, sono due mondi distinti e separati, uno è gioco e relax, l’altro è lavoro, si avvicinano, ma sono separati.
Domenico Monteforte scrive per la Mondadori, è anche uno scrittore?
No, tutto è partito con il libro “L’Arte in cucina”. Sono interviste a personaggi che condividono la passione per la cucina e per l’arte. Il mio è un lavoro creativo, quindi suggerisco e poi sto un passo indietro, ho il vantaggio di avere un gruppo che fa il resto del lavoro. Diciamo che qualche volta mi faccio piccoli regali, li chiamo camei, quando sono io a fare le interviste agli artisti perché, in quanto pittore, abbiamo un lessico comune.
Scrivere e dipingere: indubbiamente, entrambe forme di arte… dove non arriva il pennello arriva la parola, o viceversa?
La parola e il dipingere sono un raccontare. La parola è più precisa più puntuale, la pittura tira fuori ciò che si ha dentro, non solo all’artista ma anche in chi fruisce quell’opera.
Lei dipinge ritratti? Se sì, chi sono i suoi modelli?
Non sono ritrattista, ma ho fatto un dipinto per il Teatro dell’Opera di San Francisco, è un 6×3 in cui sono ritratti più di 80 personaggi del mondo dell’opera, che sono stati al Teatro di San Francisco.
E la sua esperienza come modello?
È stata una cosa divertente! Ogni tanto mi rilasso fumando un sigaro toscano e, anni fa, fui contattato per essere inserito nel libro edito da Skira “Duecento anni – sigaro toscano” dedicato a personaggi pubblici che hanno la passione per il sigaro.
E veniamo a Domenico Monteforte pittore. Quando ha iniziato a relazionarsi con la tela bianca e i colori?
Mia madre mi raccontava che quando ero piccolo bastava mettermi a tavola con fogli e colori e stavo buono per ore. Dopo le superiori, ho proseguito gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Carrara. Il mio sogno era fare l’artista. Terminata l’Accademia, si è creata la possibilità di fare delle mostre collettive e, in seguito, ho fatto la mia prima personale proprio a Firenze. Ricordo ancora la data: 13 marzo 1993. Andò molto bene, avevo 25 anni, di lì a breve, aprii il mio studio e così la pittura è diventata una professione vera e propria.
Le sue tecniche?
La mia tecnica pittorica sono acrilici, olio, tempera e quella che io chiamo “acqua sporca”, la gouache. Dipende su quale supporto lavoro, e da ciò che voglio ottenere. Dipingo spesso su spartiti musicali. La cosa simpatica, oltre che interessante, è che è capitato che qualcuno che sapeva leggere la musica canticchiasse guardando il quadro. Ho una vera passione per la musica classica e, in special modo, per la lirica. Sono un passionale, mi nutro di cose che mi diano emozioni. Le racconto un fatto: anni fa, ebbi occasione, al Teatro dell’Opera di Fukushima, di ascoltare il Requiem di Verdi, in latino. Fu un coinvolgimento potente, non solo per la forza musicale, ma anche per i giapponesi che, pur non conoscendo il latino, erano commossi e piangevano. Ecco, vedere queste persone così trasportate dall’onda della commozione è stata una delle cose che mi ha emozionato di più nella vita.
I suoi soggetti preferiti?
Paesaggi. Sono inventati, mentali, metafisici, sono dentro di me. Ultimamente dipingo le Apuane e mi sono appassionato. Sono figure imponenti che non avevo mai dipinto, pur avendole sempre viste e sentendole dentro di me. Una volta li avremmo chiamati i paesaggi della memoria.
So che le sembrerà una domanda banale: cos’è l’arte per lei?
No, non è banale, anzi… è complicata da spiegare. L’arte è un qualcosa che eleva lo spirito, e quel “qualcosa” che sta su di un piano superiore. Anche una Ferrari degli anni ‘50 la potremmo definire un’opera d’arte, perché l’arte è la forma data dall’ingegno umano, esiste in tutti i campi e provoca delle forti emozioni. Gli strumenti che abbiamo dentro di noi sono quelli che ci permettono di sentire ciò che ci circonda. Ci sono forme d’arte che arrivano subito, dritte, come la musica e la lettura. La pittura richiede una certa preparazione. Le sarà capitato di sentire qualcuno asserire di fronte ad alcune opere: “Questo sarei capace di farlo anch’io.” Be’ non è proprio così, esiste un linguaggio e bisogna conoscerlo. Io, per esempio, non conosco il tedesco e non lo capisco: ciò non significa che il tedesco non sia una lingua. Se non ci si prepara prima, si resta all’impatto iniziale. Nell’arte concettuale, se non c’è preparazione quell’opera non arriva.
Nel dicembre 2016 a Roma, ha ricevuto il premio come “Artista dell’anno”…
Sì insieme ad altri artisti, ci hanno dato questo riconoscimento. È stato indubbiamente un piacere, ma in questo io sono molto “leggero”. Spesso la pittura viene vissuta come se fosse una gara, per me non è così anche se, quando arrivano, i riconoscimenti mi fanno piacere.
C’è stata una molla particolare che l’ha invogliata a dipingere?
Finché si è ragazzini si sogna: io volevo fare il pittore, ma anche il calciatore… non avevo “il piede” e quel sogno non si è avverato. Credo che per poter traghettare il sogno nella realtà l’elemento fondamentale sia la preparazione: bisogna prepararsi per il meglio affinché si realizzi. Sa, io sono fatalista, se deve arrivare arriva, se così non fosse, è importante avere sempre un piano B. Nel mio caso, la strada della pittura si è aperta e tutto è venuto da sé.
Nel 2007, durante un’udienza pubblica a Roma, il suo quadro “L’albero della vita” è stato donato a Papa Benedetto XVI. Mi racconta la sensazione del momento, magari con un colore…
Ero con mia madre, fui contattato per avere un incontro con il Papa e con l’occasione, appunto, donai “L’albero della vita”. Sono cattolico e l’idea di poterlo incontrare mi emozionava, ma ciò che provai quando ebbi modo di parlarci andò oltre quel sentire, fu un’emozione ancora più potente. Fu molto carino con me e mamma e quel breve colloquio mi confermò la sua “statura”. Quel giorno a Roma fu una sensazione forte, paragonabile a uno schiaffo e blu è il colore con il quale potrei esprime il mio sentire di quel momento.
Cos’è la fragilità per l’uomo Domenico Monteforte?
È la paura per la mia famiglia, la parte scoperta della corazza. Sono diventato padre a 53 e 56 anni. È stata un’emozione potente e, come vede, si ritorna alle emozioni. La fragilità può essere anche un punto di forza, perché è l’amore che muove tutto, è parte del mio processo creativo. Da pittore, invece, quello che muove tutto è la malinconia, io dipingo bene quando sono malinconico, se ho voglia di estate, nei giorni di pioggia, vado a cercare quelle vibrazioni dipingendo i colori dell’estate.
Alla luce di quanto mi ha raccontato potrei affermare che l’artista Domenico Monteforte ha una personalità eclettica, tutto questo è frutto di esperienza, studio o creatività innata?
Ci sono due Monteforte! Una personalità creativa e l’altra pigra, che sta sul divano. Per tirarmi fuori di casa ci voglio i “carabinieri”. Si torna al discorso di prima: ho bisogno di fare cose che mi divertano altrimenti mi annoio. Libri, pubblicazioni e dipinti mi riempiono la vita, ho bisogno di variare. Quando ero studente ho passato molto tempo nella biblioteca di Carrara facendo ricerche sui grandi del passato, artisti che sono stati il mio imprinting, in fondo cercavo i miei maestri. Io non vivo per la pittura, dipingere è un arricchimento, ho bisogno anche di altro, di “nutrirmi”, al momento sto lavorando con Mondadori a un volume di “Monografia”. Se avessi puntato tutto sulla pittura sarei rimasto in America, dove forse potevano esserci maggiori opportunità, invece preferivo andare e tornare, sento in maniera molto forte il legame con le mie radici.
La domanda sui progetti futuri è d’obbligo e sono certa che riuscirà a stupirmi…
No, non la stupirò. Per quanto riguarda la parte pittorica: con Riccardo Nicoletti abbiamo fatto molte mostre, quest’anno faremo di nuovo “Terre di Toscana”. Il primo marzo inaugurerò una mostra a Reggio Calabria. A livello editoriale, è in uscita il 7° volume “L’Arte in cucina”, e una Trilogia dedicata a una poetessa.