Diari Toscani incontra Fabio Carmignani, pittore. Carmignani nasce a Pistoia e si forma all’istituto d’Arte Petrocchi della sua città. Nel 1992 inizia a esporre in Italia e successivamente anche all’estero.
Fabio Carmignani, perché dipinge?
È una passione, è la mia vita, ho sempre dipinto, fin da bambino.
Lei annovera molteplici esposizioni, quindi è una passione che “condivide” con altri…
Indubbiamente, ciascuno di noi quando crea lascia un’impronta di sé. Questa impronta resterà anche quando non ci saremo più.
I suoi soggetti preferiti?
Quelli femminili: sono sempre presenti nei miei quadri. La figura della donna è, per me, una musa ispiratrice. Be’, non solo per me… nell’antichità, prima del cristianesimo, c’era la cultura della divinità al femminile, della madre terra, dell’energia creativa: tutti nasciamo dalla donna. La bellezza l’associo al femminile, al maschile associo più la forza. L’arte porta in sé un messaggio positivo che è legato ai canoni di bellezza, e la donna è il punto di partenza. Le figure femminili sono la parte viva, la parte abitata del Cosmo.
In alcuni suoi quadri però non ci sono figure…
È vero, per un periodo le avevo abbandonate, e ho dipinto tante costruzioni geometriche e scomposizioni. Per questo vengo un po’ associato al surrealismo. Sa, dalle costruzioni geometriche o costruzioni mentali si possono, poi, sviluppare delle figure o anche città immaginarie.
Un esempio?
Ad esempio delle Marine Cosmiche, in cui ci sono rimandi a civiltà lontane, come se il mare buttasse fuori ciò che era del passato.
Cos’è per lei il passato?
Il passato è come l’acqua, lascia un’impronta… pensi al nostro rinascimento. La pittura è un percorso del pensiero, un’evoluzione della coscienza e non si può non attingere al passato, dopodiché ci deve essere una rielaborazione.
Restiamo sul tema “passato” e impronta. Nel passato la pittura, in special modo il ritratto, era il mezzo per tramandare ai posteri l’immagine del proprio passaggio terreno, e poi è arrivata la fotografia…
Esatto, nel passato, il ritratto era il modo per restare nella storia. Se vogliamo mettere a confronto pittura e fotografia… con l’avvento di quest’ultima venne messo in discussione il valore della pittura, tanto che la figura del pittore venne relegata in un angolo. Questo contribuì in parte anche alla ricerca che i pittori del ‘900 fecero sulla luce, il ‘900 è stato un periodo di grande fermento sotto il profilo artistico, e non solo, pensi che perfino Freud ispirò gli artisti.
Approfondire e studiare: c’è un artista al quale lei fa riferimento o che attraverso le sue opere le abbia suscitato curiosità e quindi occasione di studio?
Sì c’è, mi rifaccio a Kandinsky, il quale sosteneva che ogni colore, oltre a produrre un effetto sulla psiche, ha anche un suono preciso e, dato che ogni colore cambia la propria valenza anche in base alla forma in cui è contenuto, le forme che coloro hanno una loro valenza.
Mi incuriosiscono molto le capigliature delle figure nei suoi quadri, portano a fare più supposizioni, io preferisco non farne e chiederle semplicemente: perché quei capelli?
Cerco di rappresentare nella testa delle pitture il materializzarsi delle emozioni.
Nei suoi quadri si percepisce in maniera potente il richiamo mitologico. Cosa l’attrae della mitologia?
Il mistero, poter dare delle connotazioni diverse da ciò che si vede, che va oltre la realtà, e la pittura deve mostrare qualcosa che l’occhio nudo non vede.
La mitologia è la narrazione di un mondo favoloso, cos’è per lei questo mondo?
La visione che abbiamo del mondo è dettata dai nostri sensi, gli animali hanno sicuramente altre visioni. Per creare è necessario liberare la mente e realizzare, quindi, un mondo in un modo iperrealista. La natura ci offre delle potenzialità che dobbiamo cogliere. Per fare ciò è essenziale uscire dagli schemi, metterci in gioco, sperimentare. Ho iniziato a dipingere “guardando fuori”, all’aperto, la natura. Nell’astrattismo dipingo “guardando dentro” di me, alla base però ci deve essere la conoscenza e la padronanza del disegno: il disegno è la grammatica della pittura.
Rimaniamo sul favoloso, l’espressione “morale della favola” può trovare corrispondenza nelle sue opere?
Sì, direi di sì. La favola è il succo della vita, la realtà che viviamo è travisata, si deve vivere di favole, di cose piacevoli, e la favola mi deve comunicare qualcosa che mi dia un messaggio e possibilmente un messaggio positivo.
Poc’anzi parlavamo di suono, colore e forme, la domanda è: si possono associare immagini al suono?
Direi proprio di sì! Anni fa feci un lavoro in collaborazione con Franco Battiato. Entrai in contatto con lui tramite un editore che aveva a Firenze la galleria storica Bezuga, che purtroppo non c’è più. Da questa collaborazione nacque un libro d’artista dove associai delle immagini alla musica di Battiato.
Indubbiamente, per un artista la fantasia è l’humus sul quale nascono le opere, cos’è la fantasia per Fabio Carmignani?
La fantasia è creatività, è rimasta l’ultimo baluardo a cui un uomo si può attaccare. E chi crea lavora di fantasia. Oggi, sempre più frequentemente, ci stiamo rapportando con l’intelligenza artificiale, mentre la fantasia è l’imprevedibilità, quando crei sai da dove inizi ma non sai dove andrai a finire. È fondamentale essere in connessione con l’energia creativa, l’energia che ha creato l’Universo. Questa connessione la si ravvisa nei grandi artisti del passato, vedevano attraverso “il terzo occhio”. Creare è avvicinarsi alla spiritualità, e quindi ti avvicini all’arte.
E la fragilità?
Le persone sensibili sono anche fragili, è una condizione di cui non ci si deve vergognare. Punto di fuga centrale e relazione con il modo di vedere la vita, esistono anche altri punti da cui osservare una situazione. Meglio se si osserva da più angolazioni, la visione sarà sicuramente non solo più completa, ma potrebbe svelarci anche altre realtà.
Nei suoi dipinti sono presenti molteplici elementi, spesso le sue opere sono ricche di forme e figure simboliche, quali ricerche sono necessarie per riuscire a “parlare” e a trasmettere attraverso il linguaggio della simbologia?
Bisogna abbandonare le apparenze, i simboli sono dentro di te. Certo che lo studio della mitologia è importante. Le cito la frase di un critico d’arte, all’epoca avevo 20 anni: nella pittura si fa il percorso inverso che si fa nella vita, sei giovane, devi apprendere e ti metti a fare le copie degli artisti del passato, ti “prostituisci” per imparare, ma non sei te stesso perché rimani influenzato da ciò che già è stato fatto in pittura. Il tuo scopo deve essere quello di ricercare la purezza del fanciullo e abbandonare schemi preesistenti alla ricerca del tuo linguaggio originale. La bravura di un pittore è abbandonare tutti gli schemi. Un complimento che ricevo spesso è: “i tuoi quadri si riconoscono anche senza guardare la firma, hanno un tratto e connotati che sono solo tuoi”, ecco, quando mi viene detto questo, penso sempre alla frase del critico d’arte che le ho appena citato.
Da quale desiderio nasce un quadro?
Il desiderio è il bisogno di creare, iniziando dai colori che creo mischiandoli… è una forma di alchimia. Creare per me è un bisogno: una droga. Ho iniziato a otto anni.
Cavalletto, tela bianca, tavolozza dei colori, pennelli, è tutto pronto, come dipingerebbe Fabio Carmignani all’opera?
Dipingerei solo il viso, al di là che non mi interessa fare autoritratti. Qualche tempo fa, un amico fotografo scattò una foto ritraendomi di spalle. Da quella foto è nato un quadro, dove sono di spalle, appunto, mentre dipingo in un fondale marino una donna nuda. Questo dipinto è insieme ad altri miei quadri in Russia, nel caveau di un museo, dove avrei dovuto fare una mostra nel 2020, poi a causa della pandemia fu tutto fermato, adesso c’è la guerra e quindi i miei dipinti, compreso quello che le dicevo, sono bloccati là. Le anticipo la domanda: mi sono dipinto in un fondale marino, perché ho molto amore per il mare e soprattutto per i pesci. È stata una ricerca nel surreale.
Cos’è l’arte per lei?
È espressione e comunicazione, è l’espressione di un pensiero.
La bellezza?
È ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene.
Ci sono dei canoni per poter definire un quadro bello?
Sì, deve essere originale: un quadro in cui il pittore non ha copiato nessuno ed è riuscito ad esprimere se stesso e in cui vi sia padronanza delle tecniche.
Da pittore a osservatore, con quali occhi si pone davanti alle opere di altri artisti?
Devo abbandonare me stesso, ovvero distaccarmi da ciò che la mia pittura rispecchia: il mio gusto personale. Quindi sì, per guardare un altro pittore devo spogliarmi da me stesso, devo pormi sulla sua lunghezza d’onda, avvicinarmici.
La tecnica che predilige?
Olio su tela perché mi dà la possibilità di avvicinarmi a ciò che voglio rappresentare, però le tecniche mi piacciono tutte.
Dai suoi quadri si evince che sono molti i viaggi che intraprende con la mente e la fantasia, viaggiare fisicamente le piace?
Sì molto, è stato un viaggio in Oriente che mi ha aperto la mente sulla pittura, un tipo di arte diverso dal nostro, e che mi ha fatto pensare, lì, in quella terra che se vi fossi nato avrei dipinto diversamente. Da quel momento, ho iniziato a studiare e a fare ricerche sull’arte orientale, e a inserire nei miei dipinti oggetti che richiamano l’Oriente. Con l’arte è il mezzo per comunicare al di là dell’etnia.
Progetti futuri?
Sarò in giro per alcune esposizioni, e forse ci sarà la possibilità di fare una mostra questa estate. Ho il piacere e la fortuna di collaborare con vari galleristi.