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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Il Codex Vindobonensis 324 e il mondo antico (undicesima parte)

DiGian Luigi Telara

Feb 6, 2023

Sul borgo immaginario di Venelia esistono molte leggende e dicerie. Ad esempio, si narrava di contenitori in pietra decorati, con dentro della polvere, che sarebbe stata il residuo di preziosi tesori inceneriti dal diavolo. In realtà si trattava di urne cinerarie di cui i villici nulla sapevano. Infatti, i morti, con l’avvento del cristianesimo, non vennero più cremati, perché la nuova tradizione li voleva inumati. Furono i vescovi, detentori di antichi documenti e del sapere vero, ad avere nozione della verità. La tradizione cristiana si innestò in una società già ben organizzata. La carica di vescovo veniva data a uomini di nobili famiglie, ricche e colte, che conoscevano alla perfezione il latino e il greco e che erano gli unici in grado di continuare una tradizione ormai secolare. La gente del popolo nasceva, viveva e moriva senza memoria di sé. I vescovi, provenendo da famiglie potenti, con dinastie secolari, andavano, di fatto, a gestire un patrimonio enorme, fatto di beni immobili, frutto di lasciti e di rendite derivate dai livelli, che erano state stabilite dai privilegi papali ed imperiali. Rendite confermate, in seguito dagli statuti derivati dalle dispute legali, gestite dai marchesi e dai loro rappresentanti, e dai vescovi, e dai loro rappresentanti. Con i carolingi, il potere dei vescovi divenne sempre più evidente e il frutto delle donazioni divenne tanto importante, da costituire, intorno a Roma, il “Patrimonium Sanctis Petri”, embrione del futuro Stato Pontificio. Il corpo presbiteriale era costituito da uomini di minor levatura culturale, preparati alle funzioni dalle scuole vescovili, in quei primi secoli secondo la “Regula Pastoralis” di Papa Gregorio I Magno del 590.

All’inizio del XIII secolo, già a breve distanza dalla morte dei fondatori Francesco e Benedetto, l’ordinazione sacerdotale subì l’influsso della comparsa, sulla scena religiosa, dei frati predicatori, ovvero dei frati minori francescani e dei frati mendicanti benedettini (cluniacensi, cistercensi e camaldolesi). A loro, Papa Gregorio IX nel 1237 riconobbe il diritto di confessare e predicare con la Bolla “Quoniam abundavit”. Poi, nel pieno del XVI secolo, giunse la Controriforma e il Concilio di Trento che si raccontava che “aveva cacciato i demoni dalla Terra”.

Tornando alle urne cinerarie, bisogna ricordare che queste e le stele vennero in qualche modo sacrificate, perse nella edificazione di chiese e delle case. La damnatio memoriae colpiva l’antico mondo precristiano, che si andava sovrapponendo alle antiche credenze, anche nella fisicità dei luoghi cultuali. Il Concilio di Nantes del 658 era stato chiaro in proposito: bisognava sottrarre alla memoria tutte le lapides che venivano trovate nei boschi, dove i Celti usavano ritirarsi per le loro cerimonie religiose, interrandole o usandole come materiale di reimpiego edilizio, di cui sono noti alcuni esempi come la statua stele di Talavorno, divenuta gradino dell’altare del monastero di San Benedetto di Talavorno, sulle rive del Magra, ormai ridotto ad un rudere o la stele di Lerici, usata come parapetto per un pozzo, o, ancora, la stele di Gigliana, usata come lapide commemorativa nella chiesa del paese, per ricordare alcuni lavori seguiti nel 1779 (murata nel campanile) e, infine, le statue stele di Codiponte, reimpiegata in un paramento murario.

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