Diari Toscani incontra Claudio Roghi. Nato a Pescia, vive a Bergamo dal 2003. Dopo aver conseguito il diploma di geometra, prosegue il suo percorso di studi scientifici in fisica e matematica e consegue la laurea in ingegneria mineraria. È stato presidente della Ferroleghe SPA e di S.A.I.A Società Acque Italiane Apuane, (entrambe gruppo Montedison), successivamente direttore generale Somi S.p.A.. Dopo essersi dimesso, lavora in multinazionali estere come consulente e in seguito come dirigente. Nella metà degli anni ottanta entra a fare parte dei giovani manager, scelti da Raul Gardini, e inizia come certificatore su navi di cereali e zucchero che effettuano ispezioni e verifica dei carichi commodity in navi in Brasile. È stato manager e consulente di molteplici società. Nel 2003, dopo svariati anni in cui ha vissuto all’estero, convola a nozze con una bergamasca e rientra stabilmente in Italia.
Dal 2007 si occupa di ristrutturazioni di aziende in difficoltà e di consulenza industriale. Nel 2009 si allontana da quel mondo per dedicarsi totalmente alle passioni che coltiva fin dalla giovane età: mineralogia, paleontologia, archeologia, studio delle opere d’arte e di incisioni. Dal 1975 fa parte del G.A.R.S (Gruppo Autonomo di Ricerche Scientifiche). Lo stesso gruppo dà vita al museo vivico di Scienze naturali di Pescia e, nel 1976, partecipa alla costruzione e installazione del museo. In quel periodo, in estate, nei campi scuola, tiene corsi di archeologia per studenti, appassionati, gruppi di ricercatori e persone che ruotano nel mondo della paleontologia e archeologia.
Parte da autodidatta come conoscitore d’arte. Nel 1986 incontra Franco Riccomi, per un contatto avuto tramite il padre e inizia, con lui, una frequentazione per appagare la sua sete di conoscenza dell’arte, apprendendo, da lui, nozioni e segreti del mestiere. È un collezionista di opere d’arte. Nel 2015 fonda la società ART LIVE. È editore di testi di argomenti scientifici e curatore di eventi. Si occupa di valutazioni di incisioni d’arte e perizie, recensisce e pubblica per artisti.
Claudio Roghi: una vita intensa e piena di interessi, partiamo dalla sua passione per le incisioni per arrivare a ciò di cui si occupa oggi…
Sì, le incisioni sono per me una vera passione, nata forse un po’per caso. Un giorno una persona mi mostrò delle stampe del Pinelli, un incisore romano, voleva realizzare dei soldi. Era un libro in cui non c’era la copertina e mancavano i fogli iniziali. Mi vennero dei dubbi che fossero dei falsi. La lastra era originale ma le stampe erano su carta che non era coeva, e mancava la prova d’autore, il foglio più brutto. Mi ci appassionai tantissimo, studiai ed ebbi la conferma che avevo visto giusto, non erano originali.
Dottor Claudio Roghi, cosa significa essere un critico d’arte?
Lei mi chiama “dottore”, la ringrazio, ma a me piace definirmi operaio dell’arte. Essere un critico d’arte vuol dire toccare un quadro, osservarlo da vicino. Alcuni colleghi riescono a fare una critica guardando l’immagine sul telefonino, be’, cosa le devo dire? Può darsi io sia limitato, ma dall’immagine di uno schermo di pochi centimetri, io non sono in grado di fare una critica! Forse non sono in grado perché sono un “operaio”. E sono fermamente convinto che sia necessario usare un linguaggio alla portata di tutti: i paroloni mettono in confusione le persone, che, poi, non capiscono niente. La critica è rendere dinamico ciò che è statico.
Chi è un critico d’arte?
È colui che è competente della materia e la mette sul quadro; io, per esempio, che arrivo dalla paleontologia ho l’occhio allenato e questo mi aiuta tantissimo, e poi sono anche uno storico d’arte, è attraverso la storia che capisco l’opera che ho davanti. Sono attratto da tutto ciò che è bello, che mi fa riflettere, che mi fa studiare e fare ricerche. Io osservo un quadro e provo a pensare a quale messaggio vuol mandare l’artista, per questo sono sempre alla ricerca e non mi piacciono le citazioni di altri, voglio andare a fondo, capire, analizzare e dare un significato alla simbologia presente nel quadro. Preferisco fare lo storico che il critico, perché la base è essere storici dell’arte.
Qual è l’obiettivo della critica?
La critica dovrebbe essere una cosa semplice: permettere a chi fruisce l’opera di comprendere ciò che ha davanti, e questo è compito di coloro che hanno le competenze. Alle volte leggo dei libri di scritti da alcuni critici e mi viene il ragionevole dubbio che forse dovrei tornare a scuola! Leggo delle critiche con belle parole e frasi ben costruite, ma prive di anima e contenuto, parole come acqua nella pentola con il fuoco spento che non cuoce niente. Le persone con le competenze ti aiutano a capire, è come leggere le analisi del sangue da soli, anziché andare dal dottore, cercare di dare un senso a quell’asterisco: muoio o devo mettermi a dieta? Ecco cosa dovrebbero fare oggi i critici dare un significato a quell’asterisco!
Non si può piacere a tutti, anzi, forse è un bene non piacere a tutti, lei cosa ne pensa?
Dove è scritto che io voglia o debba piacere a tutti? Nel tal caso, mi sarei messo a fare un altro mestiere. A chi non piaccio, mi farebbe molto piacere, nel caso lo esternasse in pubblico, che mi desse delle spiegazioni, altrimenti che lo faccia in silenzio. No, non si può piacere a tutti, anche se cerco di essere il più semplice possibile nella mia complessità, se sbaglio chiedo scusa, ma non sono una merce di scambio.
Esiste un modo per leggere un quadro? E se sì, come si impara?
Non c’è un modo, ma esiste una componente: ognuno di noi, nel quadro, vede ciò che vuole attraverso la propria esperienza. Alcuni quadri sono più difficili, come se fossero in una lingua diversa e quindi ci vuole un interprete. Ci sono più modi di leggere un quadro: quello personale e cosa, realmente, l’artista ha dipinto e ci vuol trasmettere, vedi le simbologie. Tutto ciò che viene detto dai curatori, sono interpretazioni nostre che spesso l’artista non conosce. Il messaggio cambia a seconda degli elementi iconografici. C’è da considerare l’evoluzione nel corso della storia. I curatori danno un valore all’opera per ciò che visivamente esprime. Nell’astrattismo si gioca molto sulla simbologia realistica. Nel mondo contemporaneo devi capire anche gli eventi degli ultimi 100 anni ai quali gli artisti di oggi si rifanno. C’è un testo interessante a proposito di quanto stiamo dicendo, scritto da Francesco Susinno, intorno al 1720, se non ricordo male. Nel suo libro “La Vite de’ Pittori Messinesi” ha “tradotto” in parole le immagini della pittura. Ogni epoca ha un significato e dei canoni, ogni periodo ha la propria tematica e il proprio linguaggio. Altro scrittore interessante è Cennino di Andrea Cennini, anche di in questo caso faccio appello alla memoria e mi pare si stia parlando della fine del 1300. Ecco, Cennino fu un pittore, ma anche, appunto, uno scrittore, a lui si deve il primo libro scritto in italiano volgare, un trattato sulla pittura e le sue tecniche.
A proposito di linguaggio, esiste una sorta di esperanto artistico? Una lingua che accomuni tutti gli artisti?
Il colore, è l’unica lingua. È veramente l’esperanto. Perché il colore può andare in qualsiasi superficie e i colori sono conosciuti da tutti. La sfumatura è la percezione dell’opera. L’esperanto ha una grande ampiezza di significato. L’unione è solo il colore, anche nelle sculture c’è sempre un qualcosa che crea ombre e l’occhio percepisce più di quanto noi si pensi.
A seguito di quanto mi sta dicendo mi viene spontaneo chiederle: come descriverebbe un colore a un cieco?
Domanda insolita! Lo descriverei andando a sollecitare gli altri organi di senso. Per esempio: il rosso lo si può associare al sangue, e quindi all’odore, nel sangue si percepisce quello del ferro. Per il bianco farei toccare la neve, per il verde farei toccare l’erba e per quanto riguarda il sapore una bella arancia succosa per il colore arancione.
E per descrivere la luce?
Be’ gli farei ascoltare, durante un temporale, il fragore di un fulmine, quel suono è associabile al bagliore, quindi alla luce.
Lei ha “sotto la sua ala” molteplici artisti, ognuno di essi con le proprie peculiarità, lei li chiama “i miei ragazzi”, indubbiamente un modo di definirli che racconta tanto sul tipo di rapporto che ha con loro…
Perché i miei ragazzi…perché sono per loro un punto di riferimento. Gli artisti più giovani chiedono consiglio e il più vecchio del gruppo è quello che aiuta anche gli altri. Sono i pilastri della mia vita, io sono sopra, ma ci sono perché mi ci hanno messo loro. Sono geloso dei miei ragazzi, perché non voglio che vadano allo sbaraglio. Ci sono artisti che hanno fatto la storia e poi per scelte sbagliate si sono bruciati. Ecco perché ai miei ragazzi ci tengo, anche se poi ognuno è libero di fare ciò che vuole. Ogni giorno mando un messaggio a tutti, voglio che sentano la mia presenza, loro sanno che io ci sono. È una veste simile a quella del padre. Alle volte sono duro, per me, è un lavoro ma è anche una missione.
Potrebbe definire la relazione che ha con loro, quella di maestro-discepolo?
No! Io sono una persona normale, una figura più vicina al padre di famiglia e può succedere che sia il loro confidente, questo talvolta può mettermi in una sorta di imbarazzo ma è anche la conferma della fiducia che ripongono in me. Sono orgoglioso dei miei ragazzi. Sa, io amo le persone e mi piace dare fiducia, posso essere fregato per amicizia e per bontà… per intelligenza è un po’ più difficile.
Si definisce un talent scout? Se sì, come riesce a capire quando si trova davanti a un artista dalle grandi capacità?
No no, io non scopro talenti, sono tutti talenti, certo ci sono quelli che sono portati e quelli che non lo sono. Vedo, percepisco, le persone che hanno delle doti. Il pittore fa quel particolare che altri non fanno, oppure eccelle nella pittura figurativa, ha presente quei quadri dove avverte lo sguardo dipinto in qualsiasi punto della stanza lei si trovi? Diciamo che colgo quali possono essere i pregi e le debolezze dei miei artisti. Quando conosco un nuovo artista gli chiedo di farmi tre disegni, con tecniche diverse, che ovviamente scelgo io. Per ogni artista un compito diverso. Il vero pittore è colui che doma il colore.