Era stata posta appena una settimana fa la pietra d’inciampo dedicata a Bruno Corsi, deportato nel 1944. È stata prima scalfita, poi annerita da uno spray nero. Un atto vandalico che vuole sfregiare il ricordo delle vittime della shoah.
Meritevole invece il gesto del cittadino che ha ripulito la targa e l’ha riportata a splendere, prima ancora che intervenissero gli addetti del comune.
Non è il primo atto oltraggioso rivolto alle pietre d’inciampo a Firenze. Anche a luglio alcune erano state imbrattate con simboli nazisti.
“Si tratta – spiega la presidente della commissione pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali Donata Bianchi – di un gesto gravissimo alla memoria di tutti coloro che hanno perso la vita a causa delle persecuzioni nazifasciste. Mi unisco a quanto detto dall’assessora Giuliani in relazione alla vandalizzazione della pietra d’inciampo di via Aretina 131 dedicata a Bruno Corsi, deportato a Fallingbostel e ucciso a Braunschweig nel 1944.
Solo da pochi giorni abbiamo terminato la posa di nuove pietre d’inciampo, sono segni di memoria che devono indubbiamente essere curati – ha continuato Donata Bianchi – sono un bene comune morale, di cui tutti possono prendersi cura, sarebbe bello che fossero adottate da singoli cittadini o da classi delle nostre scuole poiché i giovani dovrebbero raccogliere adesso il testimone“.
Ma cosa sono esattamente le pietre d’inciampo?
Sono piccole targhe d’ottone, di forma quadrata, montate su cubetti di cemento inseriti nel marciapiede o nell’asfalto in corrispondenza dell’ultima abitazione della persona deportata e uccisa. A Firenze le prime pietre sono state installate il 9 gennaio 2020, dopo l’approvazione del progetto voluto dalla Comunità Ebraica di Firenze e dal comune e varato nel 2019. Si sono diffuse in città sempre di più e le recentissime cerimonie di installazione delle nuove pietre anticipano la commemorazione del 27 gennaio, il Giorno della memoria.
La prima pietra d’inciampo è stata posata a Colonia, in Germania, nel 1992, a memoria dei rom e dei sinti deportati dai nazisti. L’artista che ha realizzato questi piccoli monumenti diffusi, in tedesco “Stolpersteine”, dal verbo stolpern, inciampare, e Stein, pietra, è Gunter Demnig. Grazie alla sua opera, ebrei, rom, omosessuali, testimoni di Geova, sinti, disabili, oppositori del regime, deportati e uccisi, rimangono vivi in noi, con i loro nomi e le date di nascita, deportazione e morte incisi sull’ottone.
L’artista ha installato più di 75 mila pietre, in quasi tutte le nazioni europee. Nel nostro paese sono più di mille. Roma è stata la prima città italiana ad adottarle nel 2010 e a seguire Genova, L’Aquila, Livorno, Milano, Bolzano, Reggio Emilia, Firenze, Siena, Torino, Venezia ed altre. Gunter Demnig lavora su commissione, su richiesta delle famiglie realizza le targhe che poi necessitano dell’approvazione delle autorità locali.
L’artista ama citare il Talmud, la raccolta delle norme religiose, etiche e giuridiche del popolo ebraico: “Una persona viene dimenticata solo quando se ne dimentica il nome”. È questo anche il principio che anima lo Yad Vashem, il massimo ente nazionale per la memoria della shoah a Gerusalemme.
Le pietre d’inciampo hanno creato polemiche e occasioni di dibattito politico ovunque. C’è chi vi si oppone perché teme che si possano riattivare i vecchi odi. In Germania, in alcune municipalità, si è preferito ricordare i deportati sterminati con altre forme di targhe o commemorazioni.
Restano comunque un modo efficace ed impattante sulla sensibilità dei cittadini per dare ricordo e dignità alle vittime dell’olocausto.
Foto di Silvia Meacci