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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Adele Lo Feudo: una sognatrice a colori

DiSilvia Ammavuta

Gen 21, 2023

Diari Toscani incontra Adele Lo Feudo, pittrice, laureata in giurisprudenza. Coltiva da sempre la passione per la pittura.

Cos’è per lei la pittura?

La pittura è libertà! Ho sempre disegnato e amato andare per musei. Intorno ai 20 anni, mi resi conto che avevo bisogno di fare ciò che amavo, cioè dipingere, ma avevo preso un impegno con i miei: arrivare alla laurea, e ci sono arrivata. E, comunque, anche se poi ho scelto la via dell’arte, sono dell’idea che tutto ciò che facciamo e ci capita nella vita ti segna un percorso, niente succede a caso.

Nelle sue opere sono spesso presenti figure femminili, c’è un motivo?

Sì. Ho iniziato da bambina, disegnavo sempre e solo donne. Nei miei quadri, spesso, faccio un recupero della memoria di donne, che hanno avuto un vissuto importante e o di sofferenza. Attraverso la mia pittura il desiderio profondo è riscattare ciascuna di esse da un passato tormentato per tornare a dar loro una voce.  Mi piace disegnare e dipingere il corpo umano, ma ciò che mi interessa, non è tanto il lato estetico, bensì far emergere la potenza emotiva di ciascun soggetto. 

Lei è nata a Cosenza, dove ha vissuto fino 19 anni, dopodiché si è trasferita in Campania per poi stabilirsi da 26 anni a Perugia. Quanto cambiare città e, quindi, tradizioni e costumi ha contribuito ad arricchire la sua espressione artistica?

Con la famiglia viaggiavamo molto, e i viaggi arricchiscono. In questi continui spostamenti, ho avuto la fortuna di condividere pezzi di vita con le molteplici figure femminili della mia famiglia di origine, ciascuna di esse ha contribuito a darmi grandi occasioni di crescita, anche spirituale. Indubbiamente ogni luogo in cui ho vissuto ha avuto su di me una grande influenza. E poi a Perugia è uscita Adele!

Perugia è la città del cioccolato, le piace il cioccolato?

Da morire! Il cioccolato fondente.

Cioccolato e arte: lei ha capito dove voglio arrivare?

Di recente ho fatto un dipinto, in occasione del centenario del Bacio Perugina, traendo ispirazione dall’edizione speciale del Bacio del 2018 ed è un omaggio ai suoi due inventori. Attualmente è esposto in Germania. Ho sempre avuto profonda ammirazione per Luisa Spagnoli, era un personaggio geniale. Il Bacio nasce da una storia d’amore, e il titolo del mio quadro “Senza tempo e senza età” ed è legato, proprio, alla storia d’amore fra Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni. Il loro fu un amore travagliato e intenso, la Spagnoli aveva 14 anni più di Buitoni. Pensi agli anni in cui si svolge questa storia e immagini le difficoltà che incontrarono, eppure il loro amore proseguì tutta la vita. Il mio quadro evoca un aquilone che, come l’amore, dopo che ha spiccato il volo, vola al di sopra di tutto.

L’amore nei suoi quadri è ricorrente, tanto che la sua personale alla Casa Museo di Antonio Ligabue si chiamava “Amore e vita”. Un titolo che racchiude tutto, perché questo titolo? Lo ha scelto lei? E cos’è l’amore per l’artista Adele Lo Feudo?

Lo abbiamo scelto Augusto Medici, direttore della Contemportart “Nonantola Modena”, ed io. Fra le molte opere fu esposta “L’Invisibile”, un polittico di otto quadri sulla maternità, che va disposto ponendo le tele in modo circolare così da formare all’interno della composizione una croce centrale: la vita è sofferenza ma è anche amore e spiritualità, non c’è un inizio e una fine, è tutto un divenire. E poi c’è un quadro in cui ho rappresentato Ligabue con Cesarina, la donna della sua vita. Di nuovo si ritorna ad amore e vita.

Quanto l’amore influenza l’arte?

C’è l’amore fisico e l’amore spirituale, l’amore è vita, la vita è sentimento, il sentimento è arte. Quindi sì, l’amore influenza l’arte. Gli artisti più grandi sono coloro che hanno sofferto, la sofferenza è il motore dell’arte. Sofferenza amore e arte sono collegate.  L’arte è lo strumento per trasformare in spiritualità qualcosa che è materia.

Cos’è per lei la fragilità?

La fragilità può essere un punto di forza, ciò che conta è la determinazione. Anche in un evento negativo c’è un messaggio positivo: la rinascita. Il mio numero preferito è il sette e rappresenta un ciclo: un inizio e una fine dalla quale nasce un nuovo inizio. E quando dipingo, il sette, o i suoi multipli, è presente nelle mie produzioni. Chi è creativo ha il compito di dare un messaggio di pace, speranza e forza.

A questo proposito le cito solo il nome di un evento che lei ha organizzato: Un petalo rosa… per non dimenticare.

Il 2013 fu un anno in cui ci furono tanti, troppi delitti di donne, e sentii forte il bisogno di fare qualcosa. Avevo ancora vivo il ricordo della barbara uccisione di Roberta Lanzino, avvenuta nel 1988, allora ero poco più di una ragazza e ne rimasi fortemente colpita. Sento in maniera viscerale il tema sulla violenza, così pensai a un’opera: due tele collocate dentro una valigetta in plexiglass, un lato era una donna con indosso indumenti rosa così come i petali che ha in mano, nell’altro lato la stessa donna, violata, i colori sono grigi e gli stessi petali sono “sporcati” di grigio. Un messaggio ha molta più forza se condiviso e, così, aderirono a questo progetto 65 artiste, che parteciparono realizzando un’opera che evocasse una donna vittima di violenza a cui era dedicata l’opera: una dimostrazione di unione e forza fra le donne, affinché la memoria di queste donne non andasse perduta.  Il mio petalo grigio aveva su il nome di Roberta Lanzino. Le opere di questo evento sono state donate alla Fondazione che, infatti, porta il suo nome.

L’arte come mezzo di denuncia?

Sì, l’arte è un messaggio universale.

Spesso nell’arte sono presenti immagini religiose legate anche all’iconografia, lei come vive e religiosità e arte?

Anticamente i pittori si mettevano al servizio di potenti e, chiaramente, dato che questi avevano il potere economico decidevano quali dovessero essere i soggetti da rappresentare, spesso erano loro stessi o soggetti religiosi. Il mio pensiero è che il sacro debba parlare a tutte le persone. La spiritualità va al di là delle religioni, fondamentale per me è la ricerca dell’anima, del cuore, è la bellezza dell’accettazione di noi stessi, per come siamo. Se poi parliamo del linguaggio iconografico, in quel caso ci sono regole precise da rispettare, è come se tu dicessi una preghiera mentre realizzi un’icona.

Ma per lei cosa significa rappresentare soggetti religiosi?

È una ricerca del bello sia estetico che del bello dentro, è avvicinarsi a Dio.

Adele Lo Feudo performer: come è possibile legare, o meglio, amalgamare arte, suono, performance? Ma, innanzitutto chi è un performer, cosa fa?

La performance è un’espressione d’arte. Nel 2010 feci un viaggio a New York con mio marito, e visto che volavamo dall’altra parte del mondo chiesi esplicitamente di andare a Città del Messico, a visitare la casa di Frida Kahlo. A New York visitammo molti musei, fra questi il MOMA dove assistemmo a una performance di Marina Abramovic “L’artista è presente”, ne rimasi colpita. Dopo qualche giorno andammo a Città del Messico a visitare la casa di Frida. Mi colpì molto un suo un disegno posto di fronte al letto: una gamba amputata rappresentata come un vaso contenente delle spine. Pensai al suo dolore, alla solitudine, e mi ci rividi. Nel viaggio di ritorno, durante il volo, feci degli schizzi su un’agenda che avevo comprato nel bookshop. Da questi schizzi nacque il quadro “Che m’importa se ho ali per volare!”, opera cardine per la mia prima personale di pittura del 2010, successivamente realizzai alcune opere e mi accorsi che il mio modo di farle comprendere al pubblico avveniva attraverso performance.

Quale valore ha una performance? Qual è la sua potenza? Ma, soprattutto, c’è un obiettivo che vuole raggiungere?

Le performance, per me, sono utili per fare meglio comprendere le opere e, inoltre, attraverso di esse le persone partecipano all’espressione dell’arte. È un mezzo per fare arrivare loro prima l’opera. Se ascoltiamo la voce che è dentro di noi e la seguiamo tutto diventa più fluido, più percepibile.

Nelle sue performance è presente anche il suono…

Si chiama tuono, ed è uno strumento: lo uso per aprire e chiudere le mie performance, perché è circolare. La musica è importante, così come reputo importante che vengano coinvolti i cinque sensi, per esempio io faccio toccare le mie opere, per me è basilare che ci sia un’interazione con chi assiste. Anche le parole hanno una valenza importante, così come il tono della voce o gli odori o i sapori.

Resto sempre sull’argomento, si può dire che nelle sue performance siano presenti arte e ritualità?

Sì, sono legate: le performance sono molto vicine ai riti, e le dirò che mi vengono naturali, come se fossero dentro di me, scritte nella genetica. Sono fermamente convinta che ciò che noi facciamo sia nel nostro DNA, nei cromosomi, e che, al momento opportuno, riemerga da un passato, più o meno lontano, e si palesi.

Adele Lo Feudo pittrice chi è?

Una sognatrice a colori. Sapere creare è un dono e non deve essere solo per se stessi, lo si deve condividere, questa è la mia visione dell’arte.

Foto per gentile concessione di Adele Lo Feudo