Il caffè Aragno in via del corso a Roma era, fino a pochi anni fa, una delle mete fisse delle nostre passeggiate in centro. Era un locale in stile Art dèco, con dei grandi lampadari di Murano, che gli donavano quell’alone di magia che oggi è difficile ritrovare. Noi che conoscevamo chi fosse stato seduto a quei tavoli, immaginavamo il fervore artistico e culturale di quegli anni. Tra gli ospiti ci fu Mario Pannunzio, che era nato a Lucca nel 1910 da Guglielmo, un avvocato e dalla contessa Emma Bernardini. La famiglia Pannunzio si trasferì a Roma nel 1921 e Mario frequentò il liceo Mamiani.
Dopo il liceo si iscrisse e giurisprudenza e, proprio durante gli studi universitari, iniziò a frequentare il caffè Aragno. Pannunzio entrò in contatto con Ungaretti, Marinetti, Cardarelli, Ardengo Soffici e tutto il gotha della cultura del primo novecento. Malgrado la laurea conseguita nel luglio del 1931, l’aspirazione di Mario Pannunzio era quella di diventare un pittore. Partecipò alla Quadriennale d’arte nazionale del 1931, sembrando destinato ad una promettente carriera.
L’incontro del 1934 con Attilio Riccio fu determinante per ciò che sarebbe stata la sua vita lavorativa. Entrò nella redazione de Il Saggiatore, una rivista di cultura e iniziò a scrivere articoli e recensioni di carattere editoriale. Conobbe Ennio Flaiano, di origine abruzzese come suo padre. In quel periodo scrisse anche per Oggi, La Corrente, fondato da Alberto Moravia e Caratteri, insieme ad Arrigo Benedetti e Antonio Delfini. La poliedricità di Mario Pannunzio spaziò anche nel cinema. Frequentò il Centro sperimentale cinematografico di Roma e girò come regista un cortometraggio: Vecchio Tabarin.
Nel 1937 fu chiamato da Leo Longanesi nella redazione di Omnibus, un settimanale. Pannunzio si occupava della critica cinematografica. Nel 1939 il regime fascista fece chiudere Omnibus, perché, allora, chi dissentiva veniva silenziato davvero. Angelo Rizzoli lo volle a Milano per la sua rivista: Oggi. Anche questa fu chiusa nel 1942 per motivi politici. Mario Pannunzio tornò a Roma.
Durante l’occupazione tedesca nel 1943, con l’Italia spezzata su due fronti, costituì un gruppo liberale clandestino. Il movimento aveva un giornale che si chiamava: Risorgimento liberale. Mario Pannunzio in veste di redattore del giornale, fu arrestato nel dicembre del 1943. Dopo la liberazione di Roma, Pannunzio fu nominato direttore di Risorgimento Liberale, che divenne l’organo divulgativo del Partito Liberale Italiano. Mario Pannunzio era un convinto antifascista, ma non esitò a porre l’attenzione sul dramma delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, degli orrori della guerra che vennero perpetrati da entrambi gli schieramenti. Gli effetti si fecero sentire durante il congresso del Partito Liberale nel 1947. Uscì dal Partito ed aderì al Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli, uno dei padri dell’Europa unita che viviamo oggi.
Nel febbraio del 1949 uscì il primo numero della rivista: Il Mondo. Riprendeva quella fondata da Giovanni Amendola nel 1922 sugli ideali socialisti prima del congresso di Livorno. Pannunzio divenne direttore della rivista, che si proponeva di diventare una voce liberale, democratica e laica. Si sarebbe dovuta collocare tra il polo democristiano e quello comunista, una visione antifascista, anticomunista e anticlericale.
Nel 1951 Mario Pannunzio aderì nuovamente al Partito Liberale, sperando di aver ritrovato quella casa comune, che fosse un contenitore di idee. Le sue speranze furono disilluse e nel 1955 fondò, insieme a Leo Valiani, Eugenio Scalfari, Ernesto Rossi e Mario Pannella: Il Partito radicale dei democratici e dei liberali, che, successivamente, assunse il nome di Partito Radicale. Fu un momento storico, considerando le battaglie civili e umane che il Partito Radicale ha combattuto fino alla sua depauperazione.
Nel 1962, durante il Consiglio nazionale del Partito, Pannunzio ruppe con la maggioranza composta da Rossi e Pannella, uscì dal Partito Radicale e pose fine a storiche amicizie personali. La scintilla fu la presenza di Leopoldo Piccardi nel Partito. Piccardi era considerato dallo storico Renzo De Felice un razzista e collaborazionista con il regime fascista. Per ripicca, Ernesto Rossi iniziò a raccogliere documenti compromettenti su Pannunzio, senza per altro trovare nulla di significativo. Mario Pannunzio continuò le sue battaglie sulle pagine de Il Mondo. Mise in risalto gli intrecci tra imprenditori e politica e sulla speculazione edilizia. Fu supportato da Arrigo Benedetti sulle pagine del settimanale Espresso. Il Mondo stampò la sua ultima edizione il giorno 8 marzo del 1966: per Mario Pannunzio fu la fine di un sogno di libertà editoriale, quello di narrare, da un punto di vista acritico, la verità.
Mario Pannunzio è morto a Roma nel 1968 a causa di una fibrosi polmonare. Sulla bara, come caro compagno di viaggio, ha voluto una copia dei Promessi sposi. Volle rendere omaggio ad Alessandro Manzoni ,un liberale e paladino dell’umanesimo cristiano, che non riusciva più a percepire nella società. Mario Pannunzio è stato un fulgido esempio di come bisognerebbe fare giornalismo. Andrebbe studiato e compreso, perché, quando si scrive, bisogna sempre comprendere che le parole hanno un peso.