• Ven. Nov 22nd, 2024

Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La calza appesa al camino è un simbolo del Natale ormai internazionale. La sua origine, però è tutta italiana ed è legata a un personaggio, la Befana, che esiste solo in Italia. Le origini del rito di appendere calze perché siano riempite di doni, risalgono alle pratiche pagane dell’antica Roma, legate al rinnovamento della terra, nel periodo successivo al solstizio d’inverno. Tra i primi ad appendere una calza per farla riempire di doni della terra da una ninfa, secondo la leggenda, sarebbe stato Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma. In quest’usanza, che si consolida effettivamente in tempi molto successivi, era contenuto un rito propiziatorio per il nuovo anno appena iniziato e nel tempo vi si sovrapposero diverse leggende e spiegazioni.

La Befana, infatti, arriva nel giorno dell’Epifania, momento cristiano rappresentato dall’arrivo dei Re Magi alla grotta in cui era nato Gesù: le due tradizioni completamente contrastanti vengono fatte collimare in una storia, comparsa intorno al 1100, secondo la quale la Befana sarebbe stata una vecchia sgarbata, che si era rifiutata di dare indicazioni ai Re Magi per trovare la grotta di Betlemme in cui si trovava Gesù. La vecchia si sarebbe pentita del suo brutto gesto e avrebbe cominciato a inseguire i Magi per farsi perdonare, portando per questo, con sé, un sacco di cose dolci da mangiare, che avrebbe distribuito a tutti i bambini incontrati nelle case in cui era entrata sperando di trovarvi Gesù Bambino.

Come abbiamo detto, la festa della Befana, nell’accezione che ancora oggi ha, si affermò molto tardi e precisamente durante la dittatura fascista in Italia. Mussolini aveva, infatti, imposto il festeggiamento della Befana Fascista, sin dal 1928, con la distribuzione di doni ai bambini delle famiglie più povere. All’epoca la tradizione voleva che la Befana portasse in dono quelle che erano considerate prelibatezze e cioè frutta secca, mandarini, mele, arance: i frutti della terra considerati come offerte benaugurali per il nuovo anno. Presto, però, come per il Natale, la commercializzazione investì anche la Befana e le calze, non più attaccate al camino, ma negli stand dei supermercati, cominciarono a riempirsi di dolciumi di ogni genere e, a volte, ad essere sostituite da nuovi regali, in aggiunta a quelli aperti il 25 dicembre.

Per le generazioni dal boom economico in poi, la calza compariva la mattina del 6 gennaio, spesso ai piedi del letto, dove l’aveva messa la mamma o la nonna, appena i bambini si erano addormentati, oppure veniva consegnata dalla Befana in persona, la sera del 5 gennaio, una parente che si agghindava con i tipici stracci della Befana e che, spesso finiva con generare vero terrore nei bambini. Dentro alle calze degli anni settanta e ottanta c’erano alcuni “classici”: le sigarette di chewingum, le praline di nocciole coperte di cioccolato e di confettini colorati, le bananine, cioccolatini col ripieno alla banana e con la forma del frutto rivestiti di stagnola dorata, le rotelle di liquirizia e, regolarmente, un pezzo di carbone di zucchero, a ricordare a tutti i bambini che non erano sempre stati degli angioletti. Era il solo giorno in cui veniva permesso ai bambini di mangiare un gran numero di dolciumi e finiva, molto spesso, con l’inevitabile mal di pancia da eccesso di schifezze. Le calze venivano fatte sparire e bisognava aspettare fino all’anno successivo per fare di nuovo indigestione, perché ciò che c’era nella calza ricompariva solo per la festa della Befana e non tutto l’anno come accade oggi.