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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Gino Severini: il futurista cubista

DiPierluigi Califano

Dic 24, 2022

Le immagini che ritraggono Gino Severini rimandano ad un uomo elegante, leggermente incuriosito dal mezzo fotografico. Eppure il pittore, che nacque a Cortona il 7 aprile del 1883, ha lasciato una traccia profonda nell’arte dello scorso secolo. Gino Severini si trasferì a Roma appena compiuti i diciotto anni. Certi incontri ti cambiano l’esistenza, talvolta in bene, altre volte in male. Nella capitale incrociò la strada di Giacomo Balla, che lo avviò alla pittura divisionista, il neoimpressionismo variante del puntinismo. Nel 1906 si trasferì a Parigi per studiare i classici e si imbatté nelle avanguardie pittoriche di Picasso, Modigliani, Paul Signac e in quelle poetiche di Apollinaire, Max Jacob e Paul Fort, quest’ultimo farà parte della sua vita in modo determinante.  Severini tornò a Roma per essere protagonista di un momento storico: firmò, insieme a Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Filippo Marinetti, Carrà e Russolo, Il Manifesto della pittura futurista. Dopo la stesura del manifesto, Severini invitò Boccioni e Carrà a raggiungerlo a Parigi. Insieme parteciparono alla prima mostra futurista, alla Galleria Bernhein-Jeune, organizzata dallo stesso Severini. La prima mostra personale fu quella alla Marlborough Gallery di Londra, successivamente espose alla galleria Der Sturm di Berlino. Theo van Doesburg definì lo stile di Gino Severini: cubismo psichico. Severini amava frequentare il cabaret parigino e narrò quel mondo nella Danza del pan pan al Monico e nel Geroglifico dinamico del bal tabarin. Il caleidoscopio di luci e colori, quell’unire lo spazio tempo, il presente e il passato, che furono un’innovazione della pittura dell’epoca. Sempre nel gioco delle casualità degli incontri, nel 1913 Gino Severini sposò Jeanne Fort, che era la figlia di Paul Fort,  sua frequentazione dei primi anni parigini. Dal matrimonio nacquero tre figli: Gina nel 1915, Jacques nel 1927, che morì nel 1933 e Romana, nata nel 1937, che divenne moglie del giornalista Paolo Brunori e che ancora oggi custodisce l’opera di suo padre. Nel 1921, Gino Severini pubblicò il trattato: Dal cubismo al classicismo. In esso, narrò il suo passaggio dal cubo futurista al neoclassico con influenze metafisiche. Il ritorno all’ordine conseguente al trauma della prima guerra mondiale, che sarà seguito come narrazione artistica da Picasso, De Chirico, Derain. Nel 1923  Severini partecipò alla Biennale romana. Al Palazzo delle Esposizioni, erano presenti, oltre a lui: De Chirico, Donghi, Trombadori, Bertoletti. Nel 1924, venne colto da una crisi religiosa e mistica che lo condusse a riprodurre arte sacra. Creò grandi affreschi e mosaici per le chiese svizzere di Semsales e La Roche. Dopo aver partecipato alle mostre del movimento artistico del Novecento, a Milano e Ginevra e alla Biennale di Venezia nel 1930, si trasferì a Roma. Qui, insieme al suo mentore Giacomo Balla, partecipò alla Quadriennale nel 1931 e nel 1935,  e, nella seconda edizione vinse il Gran premio per la pittura e presenziò ad un’intera sala dedicata a lui. In quel periodo tornò a Parigi per realizzare una grande decorazione per l’Esposizione Universale del 1937. Arrivò la guerra con il suo fardello di orrori senza fine. Come dopo il primo conflitto mondiale, l’arte risentì in chiave emozionale del momento. Gino Severini tornò ai soggetti del periodo futurista, a quel decorativismo astratto che l’avevano fatto definire: cubista psichico. Nel 1947, in una Parigi che portava i segni della devastazione, partecipò alla mostra organizzata da Guido Seborga, presso la galleria Billet. La vita stava riprendendo e Severini contribuì in modo sostanziale a quella parte immateriale, ma altrettanto primaria, che è l’arte in qualsiasi forma. Tra il 1949 e il 1950 Gino Severini aderì al progetto della collezione Verzocchi. Si trattava di riprodurre opere con il tema del lavoro, quanto mai significativo nel primo dopo guerra: tema che non ha mai perduto nel tempo la sua connotazione di ricatto più che riscatto sociale. Severini inviò un suo autoritratto e l’opera: Simboli del lavoro. Si trattava di una composizione astratta con spighe e vanga, un ritorno al passato bucolico, un’esortazione a ripartire dalle radici. Si trasferì definitivamente a Parigi salutando il suo amico Giacomo Balla che morì  a Roma nel 1958. Gino Severini insegnò mosaico all’Università di Parigi, avendo come assistente  Riccardo Licata, che diverrà un ottimo pittore e mosaicista. Gino Severini è morto a Parigi il 26 febbraio del 1966, all’età di 83 anni. È stato un precursore di tecniche pittoriche ancora attuali. Ha conosciuto e frequentato i migliori artisti dello scorso secolo, oggi riposa nella sua Cortona: il toscano giramondo è tornato a casa.