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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Giovanni Michelucci: il padre di Santa Maria Novella

DiPierluigi Califano

Dic 17, 2022

Arrivare a Firenze in treno è sempre emozionante. Esci dalla stazione e ti trovi già immerso nella storia. Chissà quanti, dei milioni di viaggiatori, si soffermano a guardare e ammirare un’opera del Razionalismo italiano, che, pur avendo un committente sul quale potremmo discutere, rimane qualcosa di straordinario. A capo del progetto c’era Giovanni Michelucci, che nacque a Pistoia all’inizio del 1891 da una famiglia proprietaria di una fonderia. Giovanni Michelucci si diplomò nel 1911 all’Istituto Superiore di Architettura. Lavorò nella fabbrica di famiglia come incisore, fu la palestra per le sue successive opere. Nel 1916 venne richiamato sul fronte della guerra. La sua prima opera si può considerare una piccola cappella a Caporetto. Si trattava di un piccolo oratorio a pianta quadrata, ma lasciava già intuire l’estro creativo di Giovanni Michelucci. Dopo la fine del conflitto si trasferì a Roma. Ottenne la cattedra al Regio Istituto Nazionale d’Istruzione Professionale, una sorta di avviamento al lavoro. A Roma visse insieme alla moglie, Eloisa Pacini e si dedicò ai disegni di alcune villette nella capitale e di abitazioni a Pistoia, sua città natale. Nel 1933 Costanzo Ciano, lo incaricò di trasformare la vecchia stazione di Firenze, che era sorta sulle ceneri della Leopolda, inaugurata dal Granduca Leopoldo II nel 1848. Giovanni Michelucci, insieme a Nello Baroni, Pier Niccolò Berardi e Italo Gamberini, formarono quello che fu chiamato: Gruppo Toscano. I progettisti riuscirono nel rendere l’opera razionale ed armonizzata nel contesto storico di Firenze. Giovanni Michelucci collaborò nel 1938 con Marcello Piacentini, alla sistemazione della città universitaria di Roma. Nello stesso anno completò, insieme ad Antonino Liberi, la trasformazione della distilleria Aurum, il Kursaal che assunse la forma di un ferro di cavallo. Nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale, Giovanni Michelucci tornò in Toscana per insegnare all’Università di Firenze. Divenne presidente della facoltà d’architettura della stessa università, alla fine del conflitto bellico. Giovanni Michelucci presentò progetti di ricostruzione dei quartieri intorno a Ponte Vecchio che erano stati devastati dalla guerra, ma furono bocciati. Decise di trasferirsi a Bologna per insegnare alla facoltà di Ingegneria. Tornò in Toscana per realizzare una piccola chiesa a Collina nei pressi di Pistoia. Più che una chiesa si trattava di complesso di aggregazione per i fedeli, un ritorno al Razionalismo del periodo fascista con contaminazioni della nuova era che stava vivendo. Nel 1950 Giovanni Michelucci elaborò i progetti per la Borsa merci di Pistoia. Nella sua città progettò la chiesa della Vergine. La sede della Cassa di Risparmio di Firenze, sempre negli anni cinquanta, rimane il fulgido esempio della volontà di annullare gli spazi, le barriere architettoniche che sono di grande attualità. Volle creare uno spazio, un dialogo tra la banca e gli utenti. Giovanni Michelucci partecipò alla stesura del Piano Regolatore di Firenze e, finalmente, la città ascoltò i suoi consigli. Lavorò al riassetto di alcune sale della Galleria degli Uffizi, l’onore più grande che ci possa essere per un toscano. Nei primi anni sessanta, con il boom economico, le commissioni per Giovanni Michelucci furono di vario tipo. Costruì l’Osteria del Gambero Rosso, accanto al parco di Collodi. Nel 1961 furono avviati i lavori per la chiesa della neonata Autostrada del Sole. Un’opera che faceva della elasticità dei materiali il suo fiore all’occhiello. Il calcestruzzo armato, quella facciata brutale, che richiamarono nuovamente il Razionalismo, dal quale, in qualche modo Michelucci si voleva smarcare, ma che faceva parte del suo DNA. Sempre negli anni sessanta progettò la Sede della Direzione provinciale delle Poste e Telegrafi di Firenze e il Santuario della Beata Vergine della Consolazione a San Marino. Nel 1966 Firenze fu devastata da un’alluvione storica. Mentre gli angeli del fango tentavano di salvare l’immenso patrimonio artistico della città, Giovanni Michelucci pensò ad un piano per la sistemazione dei palazzi intorno a piazza Santa Croce, venne nuovamente bocciato dall’amministrazione comunale. Negli anni settanta e ottanta, Giovanni Michelucci, pur anziano aveva ancora voglia di misurarsi con progetti di varia natura. In quel periodo progettò la chiesa di Santa Rosa a Livorno. Per il memorial Michelangelo sulle Alpi Apuane, creò uno straordinario catalogo di foto e plastici che ricostruivano il lavoro del grande artista toscano. Lavorò fino agli ultimi giorni della sua esistenza. Le sue ultime opere furono: il complesso teatrale di Olbia e la Stazione di Empoli. Giovanni Michelucci è morto l’ultimo giorno del 1990, mancavano poche ore al compimento dei 100 anni. La sua filosofia concettuale e progettuale è ancora di ispirazione per molti suoi colleghi. È stato l’architetto del fascismo, ma spesso gli artisti hanno dovuto accettare commissioni da chi in quel momento era in grado di farli lavorare. Bisogna iniziare a guardare le opere, l’arte, dal punto di vista emozionale, scevro di qualsiasi sovrastruttura. Oggi la Fondazione Michelucci è attiva presso la villa Il Roseto, dove Giovanni Michelucci riposa insieme alla moglie Eloisa.