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Diari Toscani

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La morte della pena di morte: 30 novembre festa della Toscana

DiVinicia Tesconi

Nov 30, 2022

Durò solo quattro anni, ma fu una lezione per tutto il mondo e l’espressione di una visione di eccezionale modernità e lungimiranza: l’abolizione della pena di morte imposta dal granduca di Toscana, Pietro Leopoldo Asburgo Lorena, il 30 novembre 1786, data diventata, per questo straordinario primato, la festa della Toscana. La decisione del granduca Pietro Leopoldo usciva, davvero, da tutti gli schemi, nell’epoca in cui venne presa, ancora segnata da codici medievali, basati su pratiche di inaudita crudeltà e disparità, anche se il pensiero illuminato che caratterizza il ‘700 aveva già condotto in quella stessa meta, menti eccelse. Nel 1764, proprio in Toscana, a Livorno – perché altrove era stato censurato – era stato pubblicato il celebre trattato di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, nel quale si profilava esattamente ciò che, poi, fece il granduca, che il testo di Beccaria, sicuramente, lo aveva letto.

Pietro Leopoldo era arrivato in Toscana nel 1765, alla morte di suo padre, l’imperatore austriaco Francesco I, dal quale aveva ereditato il titolo di sovrano del granducato di Toscana, in realtà destinato a suo fratello maggiore Carlo I, scomparso però nel 1761. Pietro Leopoldo aveva solo diciotto anni e, se anche la sua formazione, sicuramente, era stata influenzata dalle idee illuministe che guardavano a un nuovo, più giusto, ordine sociale, non aveva mai mostrato, fino ad allora particolare determinazione o volontà di lasciare un segno politico rilevante nel ruolo a cui era predestinato. Quando aveva soli sei anni, la madre, Maria Teresa d’Austria, organizzò, per puri scopi politici, il suo fidanzamento con Maria Beatrice D’Este, erede del Ducato di Modena e Reggio e signora di Carrara, ma, in seguito, a sposare Maria Beatrice fu suo fratello, l’arciduca Ferdinando e per Pietro Leopoldo venne scelta, invece, l’infanta di Spagna Maria Luisa di Borbone. Con la sua sposa, da cui ebbe 16 figli ma che tradì costantemente, avendo anche un figlio illegittimo, il granduca si trasferì in Toscana, scegliendo di vivere a Firenze, cosa che il suo predecessore, il granduca Francesco Stefano Asburgo Lorena, non aveva fatto. Che era di un’altra pasta, lo si vide subito. Pietro Leopoldo volle fermamente incarnare la figura del sovrano illuminato, celebrata dal secolo dei lumi e si impegnò a risollevare le sorti della Toscana che, nel momento del suo insediamento, erano alquanto drammatiche: le campagne erano incolte per l’afflusso di gente verso le città, in cui finivano per vivere in condizioni di degrado, le strade erano poche e poco praticabili e il sistema burocratico era talmente farraginoso, da bloccare ogni possibile miglioramento. Pur essendo poliglotta e conoscendo bene il latino, Pietro Leopoldo non parlava l’italiano, ma si adoperò per impararlo nella sua Toscana, girandola in lungo e in largo, per rendersi conto in prima persona degli interventi da fare. Constata de visu le condizioni del suo regno, fece partire un imponente programma di riforme arrivando, persino, a limitare i privilegi del clero e dell’aristocrazia, definiti da lui ceti parassitari. Il capolavoro, però, fu la sua Riforma della legislazione criminale Toscana, chiamata Codice Leopoldino, che eliminava la pena di morte, la tortura e il reato di lesa maestà. Così scrisse Pietro Leopoldo: <Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata Legislazione era decretata la pena di Morte per Delitti anche non gravi, ed avendo considerato che l’oggetto della Pena deve essere la soddisfazione al privato, ed al pubblico danno, la correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza nei Rei dei più gravi ed atroci Delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio; che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al Reo …avendo altresì considerato, che una ben diversa Legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo Toscano, Siamo venuti nella determinazione di abolire come Abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte contro qualunque Reo…>. Per sempre: niente più esecuzioni, niente più torture con mutilazioni di parti del corpo, niente più confessioni di innocenti estorte con il terrore e neppure più persone facilmente perseguite per ipotetiche affermazioni contro il sovrano o semplicemente per aver dimostrato dissenso politico.

Era un gran passo, che Pietro Leopoldo fece, dandogli il massimo risalto: ordinò l’immediata messa al rogo di tutti i patiboli e gli strumenti di tortura e assistette personalmente al grande falò delle forche che venne fatto nel cortile di palazzo Bargello, a Firenze, all’epoca sede della prigione. Pietro Leopoldo era convinto che sarebbe stato più facile far rispettare la legge in una società più equa. Dopo quattro anni dalla sua riforma giudiziaria e dopo 25 anni di governo in Toscana, venne richiamato a Vienna, nella città in cui era nato, per diventare imperatore, essendo deceduto il fratello Giuseppe II. In Toscana gli succedette Francesco II, arciduca d’Austria che subito reintrodusse la pena di morte per arginare l’esplosione di insurrezioni popolari fomentate dal clero. A capo dell’impero austriaco, Pietro Leopoldo, restò solo due anni: troppo pochi per applicare le sue innovative idee politiche, oltretutto in un mondo storico reso incandescente dall’esempio della Rivoluzione francese e dal destino ormai segnato dei reali di Francia, a cui era strettamente legato: Maria Antonietta era sua sorella. La paura che la rivoluzione si estendesse in tutta Europa aveva diffuso grande preoccupazione in tutte le corti, spingendo anche lui a condannarne gli esiti. Morì nel 1992, forse di malattia, forse avvelenato per avere mostrato l’intenzione di svolgere un ruolo di pacificatore della politica europea del momento, o forse, intossicato da una pozione afrodisiaca assunta per l’ennesimo dei suoi incontri galanti. Pur essendo stato, per la maggior parte della sua vita, il sovrano di un piccolissimo stato, seppe, comunque lasciare un segno al mondo intero, conferendo alla sua Toscana il merito di essere il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte.