Questa settimana andiamo a: Melbourne, Australia
Coordinate: 37°48′51″S 144°57′47″E
Distanza da Firenze: 16.104 km
Ad oggi, sono più di 1400 i neonati che hanno ricevuto la loro dose. Il luogo di provenienza, i loro nomi e la data dell’iniezione, sono tutti scritti su degli adesivi colorati a forma di mano, che tappezzano le pareti di un edificio dello stabilimento Novartis di Lybertsville, nella periferia di Chicago. Louis è stato il paziente numero 11 e c’è anche lui su quella parete, naturalmente. Ogni adesivo significa una vita salvata e questo cancella tutto il resto. O forse no. A sentir parlare i dirigenti della Novartis, il costo del farmaco e le implicazioni morali, che la sua inaccessibilità comportano, non sembrano rappresentare un grande problema. Del resto, fanno notare, lo Zolgensma è meno caro rispetto ad altre terapie simili, di lungo termine, perché comporta soltanto una dose. E, poi, bisogna considerare che il prezzo di un farmaco non si può definire, solo, in termini di costi di produzione e di ricavi per l’azienda: se ci si fermasse a questo aspetto, pur rilevante, considerato il livello di tecnologia, le competenze e gli standard di sicurezza (un laboratorio di genetica deve essere 100 volte più pulito di una sala operatoria, giusto per avere un’idea), questo farmaco, dall’aspetto di una comune limonata, costerebbe dieci, cento volte di meno. Il costo di un farmaco salvavita si basa, soprattutto, sui suoi benefici in termini di terapie future, produttività del paziente e dei familiari coinvolti, ricadute psicologiche ed economiche in caso di lutto ed altre situazioni accessorie allo status di malato cronico. Per rafforzare queste tesi, viene fatto notare come un “comune” trapianto di cuore in un bambino e tutto l’iter medico che segue, costi ben oltre i due milioni e centomila dollari dello Zolgensma, che invece “cura” il bambino e gli regala una nuova possibilità. Quindi, sempre stando alla strategia comunicativa dell’azienda, il prezzo dello Zolgensma va valutato rispetto al suo reale valore per il paziente e per la famiglia. E, in questo senso, non c’è proprio partita: “valore” batte “prezzo” tre set a zero e fine della storia: ogni altra argomentazione perde, inevitabilmente, di significato. Peccato, però, che, in realtà, lo Zolgensma, non sempre, riesca nel miracolo di far tornare a camminare tutti i bambini, in cui è stato inoculato. Anzi. L’affermazione che lo Zolgensma sia una “cura” è, semplicemente, falsa. Ci sono alcuni casi in cui ciò avviene – questo è vero e comprovato-, ma è altrettanto vero che ci sono moltissime probabilità che il bambino rimanga con qualche tipo di disabilità e che, quindi, abbia bisogno di molte cure per il resto della sua vita. Uno di questi bambini è proprio Louis, che ha subito già sette ricoveri in terapia intensiva per problemi respiratori, e che necessita di assistenza notturna continua, visto che si sveglia ripetutamente ed è fondamentale che gli venga messa, immediatamente, la maschera nasale. Non rischia più di morire per l’atrofizzazione dei suoi muscoli, quindi lo Zolgensma lo ha, di certo, salvato, ma la sua vita è sempre appesa ad un filo. Ad ogni funzionalità motoria recuperata – alzare un braccio, fare qualche passo, girare una manopola di una tavola da disegno magnetica – , corrisponde un passo indietro sotto altri aspetti della sua salute: problemi respiratori, debolezza, perdita delle funzioni cognitive. Quindi, il minimo che si possa dire è che la comunicazione della Novartis sia un qualcosa che non rispecchia, esattamente, la realtà.
Le terapie basate sulla genetica sono al centro di un interesse, che va al di là della loro valenza medica. Per la gravità delle malattie che sono in grado di contrastare, hanno sollevato delle aspettative enormi. L’onda emozionale, provocata dalla possibilità reale di strappare un bambino a morte certa, è sfruttata ad arte dalle aziende farmaceutiche, attraverso campagne di comunicazione, che non hanno nulla a che vedere con l’informazione scientifica, ma sono, solo, degli spot ad alta intensità emotiva, che alzano il livello di pretesa sociale. Così, i sistemi sanitari pubblici sono messi, in qualche modo, con le spalle al muro e sono spinti a sottostare alle logiche di mercato delle “big pharma”, trovandosi a dover accettare l’ignobile contrattazione sul prezzo di un bene di pubblica utilità, come se stessero acquistando una partita di nuove lavagne per le scuole. L’opinione pubblica, infatti, non accetterebbe di buon grado che uno stato si rifiutasse di comprare dieci dosi di Zolgensma – o di un altro medicinale simile – in grado di salvare dieci bambini, e preferisse investire quei 21 milioni di dollari in un altro progetto, che garantirebbe cure ed assistenza a vita per cento disabili, per fare un esempio. Si potrebbe facilmente obiettare che ci dovrebbero essere i soldi per entrambe le cose, ma questo è un altro discorso. Si provi ad immaginare che tipo di sollevazione popolare si sarebbe scatenata, se l’Italia si fosse rifiutata di sedersi ad un tavolo con la Pfizer, sostenendo che, con i soldi che quest’ultima pretendeva per i milioni di dosi del suo vaccino, avrebbe portato avanti un certo numero di progetti, che avrebbero migliorato, notevolmente, la qualità della vita della cittadinanza. I casi sono diversi, naturalmente, e questa è una provocazione, ma il meccanismo è il medesimo.
Nessuno stato è riuscito a sottrarsi a questa logica, ovviamente. Tutti hanno acquistato i vaccini, portando nelle casse della Pfizer una quantità inimmaginabile di denaro, senza che questo abbia spinto l’azienda a fornire il vaccino, gratis, a tutti i paesi in via di sviluppo. Molti paesi si sono presi carico della somministrazione dello Zolgensma. La negoziazione sul prezzo varia da paese a paese e non c’è modo di conoscere i dettagli. L’Italia ha inserito il farmaco tra quelli rimborsabili a partire dal 2021. E per i quaranta paesi che invece, per un motivo o per l’altro, non vogliono o non possono farsi carico di acquistarlo? La malattia colpisce in egual misura, in ogni parte del mondo: chi salverà quei bambini?
Forte: Internazionale