All’epoca non era facile muoversi per i sentieri montani e, in alcuni paesi della Lunigiana, i bizantini rimasero in forma di sacche di contingenti militari, e dopo una prima fase, in cui furono emarginati dalla nuova realtà politica, finirono, in seguito, con l’esserne completamente inglobati. Nel 726, l’imperatore dell’Impero Romano d’oriente, Leone III Isaurico, iniziò una severa campagna iconoclasta per vietare il culto delle immagini della Madonna e dei Santi, ma si trovò a dover fronteggiare una feroce resistenza sia all’interno dell’impero bizantino, sia nell’Esarcato di Ravenna, cioè nei territori italiani che facevano parte della circoscrizione amministrativa bizantina, tra i quali era compresa anche la Lunigiana. Né il patriarca di Costantinopoli, né papa Gregorio II accettarono le indicazioni iconoclaste di Leone III. Nell’Esarcato, una parte delle truppe bizantine si ribellò all’imperatore e, sostenuta anche dagli abitanti, si organizzò per inviare a Costantinopoli una flotta che destituisse l’imperatore, ma a fermare il progetto fu lo stesso papa, preoccupato per la minaccia incalzante dei Longobardi, per contenere la quale, contava sull’aiuto dell’esercito imperiale. I timori del papa si rivelarono più che fondati perché, a seguito delle rivolte scoppiate nel territorio italiano e degli scontri con la flotta bizantina inviata per uccidere il papa e imporre l’iconoclastia, i Longobardi, guidati da Liutprando invasero molte città e territori dell’Esarcato, conquistandoli. Le truppe bizantine insediate in Lunigiana rimandarono le insegne, cioè si arresero. La restituzione delle regalie – le insegne – aveva un grande valore simbolico perché richiamava l’episodio della deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’occidente, da parte di Odoacre, che, si era messo sotto la sovranità dell’impero bizantino, ricevendone, appunto, le regalie. La restituzione di queste, divenne, quindi, il casus belli che scatenò l’intervento dell’esercito di Leone III in Italia. Lo stesso gesto compiuto dalle truppe presenti nel territorio ligure rappresentò la resa dei bizantini.
La presenza bizantina nelle terre dei Liguri Apuani lasciò tracce in alcuni toponimi di chiara etimologia greca, come i già citati Filattiera e Filetto (da phylacterion che significa posto di guardia), le località di Greciola e, molto probabilmente, di Iera (presumibilmente da ierà = “sacro”) a Bagnone, la frazione liccianese di Apella (forse da “apella”, il luogo in cui nella società spartana si tenevano le assemblee popolari), la frazione aullese di Burcione, nella bassa val di Magra, il borgo di Nicola (da Mycoria, “mica aurea”, miniera d’oro, scoperta allora, ma in realtà esauritasi velocemente, oggi frazione di Ortonovo), nel Monte dei Greci, che si trova in Val di Vara e nel quartiere Grecino (o Grexino) a Varese Ligure.
Con l’arrivo dei Longobardi, Luni, che era stata un crogiolo anche di religioni, e tutta la Lunigiana diventarono interamente cristiane. Molto interessante a questo proposito un’epigrafe rinvenuta nella Chiesa di San Giorgio di Filattiera risalente al 752, che riporta: “Leodegar idola fregit” cioè “ Leodegar spezzò gli idoli (pagani)”.
Certamente con i Longobardi un nuovo ordine sociale permise di dormire senza il pugnale sotto il guanciale e anche in Lunigiana cominciarono a formarsi comunità e paesi di “arimanni”, cioè di “uomini liberi atti alle armi”. Mentre, prima, il popolo era separato dalla classe militarizzata, con il nuovo ordine sociale crebbero i notabili e, di pari passo, anche la classe nobiliare lunigianese, da cui, con l’andare del tempo, uscirono fuori gli eponimi del territorio lunigianese, carrarese e massese: una nuova classe dirigente orgogliosa della sua origine longobarda. Gli ultimi bizantini seguirono la tradizione: “si piegarono ma non si spezzarono” passando al versante longobardo, alcuni tra i notabili, altri tra i militari. Morti loro, di bizantino restò ben poco. Una dominazione militare per nulla integrata con il popolo. Quelli, dei bizantini, che si erano sposati ed avevano avuto figli, si ritrovarono una prole che, fieramente si proclamava longobarda.
All’epoca bizantina longobarda, VI-VII secolo, risale – secondo gli studi della Soprintendenza riportati dallo storico Pietro di Pierro – una colonna in pietre della controfacciata della chiesa di San Pietro ad Avenza. La frazione di Avenza, come spiega Di Pierro, nacque come castrum romano a presidio di Luni sulla via Aemilia Scauri, ipotesi confermata anche dal ritrovamento di una tomba di incinerato, presso la casa Finelli. Dal corredo (tre punte di lancia, un gladio e un pugio) doveva essere un soldato. Dal tipo di sepolcro: a cassetta sotto cumulo di pietre, è stata postulata l’origine ligure apuana dell’età del ferro, ma, la localizzazione inconsueta per gli apuani, in riva al mare e fuori dal fronte dei castellari, farebbe, invece, propendere per la romanità.