Dove andiamo questa settimana: Freemont, California, USA
Coordinate: 37°32′54″N 121°59′19″W
Distanza da Firenze: 9.814 km
Questa storia parla di lacerazione, speranze deluse e promesse non mantenute. È la storia di una famiglia* la cui unica colpa è quella di essere originaria di Kabul, Afghanistan.
A dire il vero, lì il padre era titolare di una farmacia, la madre lavorava nei trasporti e i tre figli (due femmine e un maschio) andavano tutti regolarmente a scuola. Una vita tranquilla e quasi privilegiata, se si pensa al contesto: un paese che in 40 anni ha subito due invasioni militari (quella sovietica dal 1979 al 1989 e quella USA al 2001 al 2021), senza che nessuna delle due abbia sortito gli effetti sperati dall’aggressore. Anzi. Gli aiuti militari e logistici che gli USA fornirono alle forze di resistenza afghane per combattere i sovietici, formarono le milizie armate che dopo aver costretto quest’ultimi a ritirarsi, di fatto, presero il controllo degli impervi territori interni di questo immenso paese; le stesse formazioni militarizzate accusate, dieci anni più tardi, di dare rifugio all’organizzazione terroristica Al-Qaeda, responsabile di tutta una serie di attentati culminati con l’11 settembre 2001, e che quindi dovevano essere stanate e spazzate via, soprattutto per dare una risposta immediata e di forte impatto al legittimo desiderio di vendetta di una nazione intera, colta di sorpresa e ferita ancora più duramente di quanto fosse successo con l’attacco giapponese a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941, esattamente sessant’anni prima. Ebbene, dopo vent’anni di permanenza sul territorio, 837 miliardi di dollari di sforzo bellico, 145 miliardi di dollari per la ricostruzione, 2.443 soldati USA e circa 48.000 civili morti, nel febbraio 2020 Trump firma un accordo con i ribelli taliban che prevede il ritiro americano dal paese entro 14 mesi, a condizione che questi ultimi cessino immediatamente di attaccare i militari statunitensi. Praticamente una resa. Ma questo accordo di non belligeranza non ha reso l’Afghanistan un posto più sicuro, tutt’altro. Ed è da qui che inizia la storia.
È una giornata come le altre a Kabul, ma non per il figlio maggiore. Lui ha 14 anni e mentre sta tornando a casa da scuola viene rapito. Non è una novità, succede da anni: i ribelli taliban rapiscono i bambini per ottenere i soldi del riscatto o un qualche tipo di contropartita da parte della polizia, come la liberazione di compagni arrestati. Il paese ormai non è più sicuro e l’imminente ritorno dei taliban quali legittimi detentori del potere, rende il futuro ancora più incerto. E poi c’è da pensare alle altre due figlie adolescenti: restare ancora a Kabul non è più un opzione. Così si decide di lasciare l’Afghanistan, abbandonando il figlio a se stesso, con un altissima probabilità di non rivederlo mai più, né vivo né morto. Per quanto intollerabilmente straziante, questa sembra la scelta più sensata, l’unica da prendere per assicurare un futuro migliore almeno alle altre due figlie. Ma è un passo da fare al più presto. Perché la moglie, avendo collaborato con gli americani grazie al suo lavoro nel settore dei trasporti, ha diritto ad avere un Special Immigrant Visa, un visto speciale che avrebbe garantito a lei e alla famiglia una nuova vita negli USA, al sicuro. Così partono in tutta fretta, con poco più dei vestiti che hanno addosso: Tagikistan, Ucraina e poi finalmente, alla fine del 2021, gli Stati Uniti, e più precisamente Fremont, California. Un viaggio lungo quasi due anni. Una pena alleviata solo dall’essere venuti a conoscenza che poche settimane dopo la loro partenza, il figlio era riuscito miracolosamente a scappare dai suoi rapitori e a raggiungere un paese europero, dove era in attesa di partire anch’egli per la California. Ma la vita a Fremont è ben lontana dalla vita confortevole che avevano a Kabul, nella loro bella casa e vicini a tutti i loro affetti più cari. I genitori non hanno un lavoro, la figlia diciottenne sta cercando di arrivare al più presto ad un livello accettabile d’inglese prima di cercare un lavoro e la più grande ha appena preso la patente per lavorare come corriere e poi, in futuro, comprarsi una licenza per taxi. Praticamente sono diventati poveri, abitano in un modestissimo appartamento senza mobilio e vivono tutti i giorni inseguiti dai problemi di tutte le famiglie povere del mondo: bollette, affitto, prestiti. Ma almeno qui nessuno gli rapirà i figli. E dire che la loro situazione è infinitamente migliore della stragrande maggioranza dei centomila afghani che da metà 2021 hanno usufruito dei visti messi a disposizione dal presidente Biden all’interno dell’operazione Allies Welcome, come premio per la loro collaborazione con le forze armate statunitensi nel combattere il terrorismo e avviare la transizione democratica dell’Aghanistan. Il primo obiettivo è stato solo parzialmente raggiunto, mentre il secondo è andato completamente fallito, ma qualche afghano, almeno, ha avuto accesso ad un futuro migliore. Ma solo sulla carta. Per una serie di motivi (un sistema di assistenza ed inserimento intricatissimo e troppo burocratizzato, la mancanza di fondi governativi, la crisi degli alloggi, la pandemia, l’aumento dei prezzi e altri ancora) molte famiglie afghane non hanno ancora una casa e girano da un posto all’altro, aiutati solo dai volontari e dalle donazioni di qualche benefattore.
Forse un giorno la loro situazione migliorerà e davvero potranno avviarsi lungo il sentiero di una vita felice. Così come è probabile che, prima o poi, il figlio della nostra famiglia riesca a riabbracciare le sorelle e i genitori. Ma riusciamo soltanto ad immaginare l’enormità di quella scelta? Riusciamo a percepirne l’insostenibile carico d’angoscia e di disperazione? E poi, chiudiamo gli occhi e pensiamo al povero ragazzo che, impaurito, affamato, distrutto, magari dopo aver camminato e corso per giorni su sentieri montani impervi e desertici, arriva a casa e non trova nessuno ad accoglierlo, tranne la consapevolezza di doversi rimettersi in viaggio per riappropriarsi di una vita – la sua e della sua famiglia – lacerata quasi senza rimedio da una scelta impossibile.
* Non posso usare nomi perché la fonte da cui è tratto questo articolo ha usato a sua volta nomi immaginari su espressa richiesta degli interessati.
Fonte: Internazionale