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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Bianco: dal marmo al lardo

DiVinicia Tesconi

Mar 25, 2021

Un salume tutto bianco, unico nella tipologia e nel sapore, imprescindibilmente legato al contenitore in cui viene stagionato, non a caso anche questo rigorosamente bianco. Pochi prodotti gastronomici riescono a realizzare così perfettamente la sintesi di tutto ciò che contraddistingue il territorio a cui appartengono; pochi  raccolgono in sé la storia, la tradizione, la fatica, persino il colore di un luogo, più di quanto riesca a fare il lardo di Colonnata. Per farlo ci vuole il marmo di quelle montagne su cui si trova il paese che gli dà il nome. Colonnata affonda le sue origini nel 40 a.C., quando fu necessario creare degli alloggi per gli schiavi portati dai Romani per estrarre il marmo dalle cave di Carrara. Il lardo, invece, nacque circa diciotto secoli dopo, sempre in quella stessa Colonnata che ancora non aveva smesso di fornire gli alloggi ai cavatori,  non più schiavi, ma, di certo tutt’altro che signori. A confermare ciò era proprio il  lardo, il salume dei poveri, che era il companatico di tutti i pasti degli uomini che lavoravano alle cave. Fatto solo col grasso del maiale, quello che in genere avanzava dalla lavorazione dei più nobili prosciutti o che era usato solo parzialmente per fare i  meno pretenziosi salami e mortadelle, risultava, una volta pronto, bianco, appena striato di rosa più o meno intenso. Bianco come il marmo.

Nelle conche di  marmo bianco, appunto, il grasso di maiale veniva disposto in tranci sovrapposti, abbondantemente cosparsi di una mistura di erbe aromatiche  e lasciato a riposare per mesi, da sei a dieci, per giungere alla sua perfetta maturazione. Poi si tagliava a fette sottili e si riempivano le pagnotte da tirar fuori all’ora di pranzo insieme a un fiasco di vino, lassù in cava, seduti su un blocco ancora da riquadrare. Era il pranzo dei poveri. Era il pranzo di quelli che si  ammazzavano di fatica e dovevano sostenersi ancora per mezza giornata, dando colpi sulla subbia col martello. Era anche il condimento, sciolto in padella, per la minestra nei fagioli: il piatto  più comune sulle tavole dei meno abbienti nella terra del marmo. Quello che i cavatori trovavano sul tavolo alla sera, quando tornavano dal lavoro. Un rinforzo calorico pazzesco che dava sapore e energia a chi non poteva permettersi di mangiare carne tutti i giorni. Ci vollero quasi duecento anni perché si capisse la raffinata prelibatezza del lardo di Colonnata.

Agli inizi degli anni ottanta, grazie ai colonnatesi, il lardo ha iniziato la sua ascesa verso il riconoscimento IGP, arrivato nel 2004 ed è partita  la sua diffusione sulle tavole più ambite del mondo, che lo ha visto comparire nei piatti dei ristoranti stellati e persino nei menù dei party alla Casa Bianca di Washington. Colonnata, abbarbicata alla montagna, direttamente in faccia alle cave è diventata una meta particolarmente ricercata dai turisti per il panorama e per il  lardo, oggi prodotto e venduto in ventidue larderie sorte nelle viuzze e sotto le volte del borgo. Le esportazioni in Italia e all’estero del prodotto sono in continua ascesa. Una stella destinata a non tramontare, quella del salume che si impregna del sapore del marmo e di tutta la millenaria storia di sudore e sangue che il processo di escavazione  ha richiesto e ancora richiede. Un  premio alla fedeltà alle tecniche di lavorazione  che si tramandano identiche di padre in figlio. Tutti a Colonnata fanno il lardo: sempre nelle stesse conche, sempre con le stesse procedure. Ognuno geloso dei segreti del proprio mix di erbe aromatiche che, come dicono loro, è quello che fa la differenza e soprattutto, fa il lardo, insieme a quel marmo in cui viene rinchiuso ma tenuto sotto costante controllo, ogni quindici giorni, per  verificare la formazione della salamoia che deve cuocere il grasso trasformandolo in lardo.

Tutte le larderie di Colonnata hanno almeno un tavolino per la degustazione in loco del lardo, che si apprezza ancora, principalmente, in purezza, su una fetta di pane, al massimo con l’aggiunta di un pomodorino. Magari guardando il bianco abbacinante delle bancate delle cave nella montagna di fronte. Bianco negli occhi, bianco nel piatto. Dal marmo al lardo.