Ed eccoci ai giorni nostri.
Nonostante una prima fase insolitamente sottotono, il paese, dopo il voto, è in piena febbre politica post elettorale. In attesa dell’esito del voto, sono state formate le alleanze e pubblicati i programmi dei partiti. I candidati si lanciano attacchi, il governo favorisce quelli della sua parte politica e i mezzi d’informazione abbondano in sensazionalismo. Gli elettori si lasciano allettare dalle promesse di una vita migliore, che vanno dalla sanità gratis ai soldi regalati, a favolose nuove attività industriali. Sfortunatamente, in realtà, la politica keniana degli ultimi anni è stata segnata da manovre di palazzo che non hanno fatto altro che far crescere la disillusione della popolazione verso la politica. È cresciuta l’apatia soprattutto tra i giovani, che hanno risposto con meno entusiasmo all’iscrizione nelle liste elettorale. Gli oltre 22 milioni di elettori iscritti hanno votato per il presidente, ma anche per i parlamentari, i governatori e per circa 1500 funzionari locali elettivi. La gente della strada sa benissimo che, da queste parti, “uno non vale nemmeno uno”. Nonostante ciò, è stato sin troppo semplice conquistare i consensi di una o dell’altra coalizione, ma tutto si scontra con la necessità di escludere le false notizie dal dibattito politico, altrimenti – avvertono gli esperti – potrebbero esserci nuove violenze post elettorali, come quelle del 2007-2008. Alla vigilia del risultato elettorale per scegliere il successore del presidente Uhuru Kenyatta, che si avrà forse nella giornata del 15 agosto, al massimo in quella del 16, la lotta alla disinformazione è diventata un po’ più difficile per il forte coinvolgimento dei social network, anche se, alcuni di loro hanno fomentato, nei giorni scorsi, un odio tribale che, a Dio non piaccia, potrebbe scatenarsi, verso la tribù avversaria, al momento della lettura dell’esito elettorale.
Giungiamo le mani, quindi, per pregare oppure uniamole a simbolo di pace (come molti fanno qui), perché non inizino disordini che minerebbero, oltre alla pace, la salute di questa economia, che risulta essere anche in posizione migliore dell’Italia, come nazione potenzialmente favorevole alla creazione di attività imprenditoriali. Non è un caso che Nairobi sia da sempre sede e crocevia “prescelto” da business e organizzazioni internazionali nella regione. Proprio la capitale è il fulcro attorno a cui ruota un ecosistema di innovazione tecnologica: la cosiddetta “Silicon Savannah”, ormai consolidato. Non si tratta solo della pionieristica, rapida e stupefacente penetrazione, registrata dal sistema dei pagamenti attraverso la rete mobile (lo studiatissimo caso di MPesa), ma anche di esperienze che incrociano settori che vanno dalla transizione verde alla logistica.