Docente di lingua giapponese, saggista e autore del libro “Il cammino del Giappone. Shikoku e gli 88 templi” edito da Mursia nel 2017, Luigi Gatti ha la capacità di incantare i suoi interlocutori con la sua abilità oratoria e, soprattutto con le sue riflessioni e i suoi racconti di una vita da appassionato di viaggi. Originario di Bergamo ha lavorato a lungo tra Italia, Spagna e Giappone, ed ha iniziato a insegnare lingua e cultura giapponese nella sua città. Da sempre attratto dai viaggi a piedi, ha compiuto il percorso di Santiago di Compostela nelle varianti francese, primitivo, portoghese e della Costa, e, poi, il cammino di Shikoku, in Giappone, dalla cui esperienza è nato il libro. Luigi Gatti, è stato in grado di penetrare in una realtà complessa e molto diversa da quella occidentale ed anche di trarne il meglio. Spiritualità e storia, nel suo libro sono narrate con grande maestria. Tutto ha origine dalla grande passione per i viaggi a piedi, camminare per lui è fondamentalmente, ed è proprio per questo che non smette mai di sognare e di pensare.
Quando è iniziata la passione per il Giappone e cosa l’ha portata in quel luogo così lontano?
Il primo incontro risale al 2007, durante il mio primo Cammino di Santiago. Nella mia “famiglia internazionale itinerante” formatasi durante il Cammino, c’era una ragazza giapponese, Aki: è stato osservandola camminare, cucinare, relazionarsi con gli altri, che mi è nata la curiosità per una cultura così diversa da tutto ciò che avevo conosciuto nei 33 anni precedenti. Aki ha avuto il merito di farmi capire che il mondo che credevo di conoscere, poteva essere osservato da altre angolature, con una differente prospettiva, né migliore, né peggiore, ma, semplicemente, diversa ed inedita. Aki, mi regalava ogni giorno visioni e stimoli nuovi. Tra le varie cose, mi stupì il suo modo di scrivere con gli ideogrammi: per me, è stato come aprire una botola verso un mondo sconosciuto, complesso, ma, al tempo stesso, estremamente affascinante. Da lì è cominciato il mio viaggio verso est.
È stato difficile per lei ambientarsi? Cosa l’ha colpita, al primo “sguardo”, di quella civiltà?
Sì, è stato molto difficile: una vera sfida, che ancor oggi non è conclusa. Arrivai a Kyoto nel 2011, ormai non più ragazzino. Tra le varie difficoltà, ricordo, con maggior intensità, l’aspetto lavorativo. Non è facile indossare la divisa aziendale e cercare di capire le complesse leggi non scritte di quell’ambiente. La prima cosa che mi ha colpito è stato il senso civico, il poter camminare per la città sentendomi sicuro, protetto. Tutto funziona come deve funzionare.
L’ Oriente le ha dato molto, ma le ha tolto altrettanto allo stesso tempo, lei… è riuscito a capire il motivo di questo grande amore?
Amore e odio: ne avrei di aneddoti da raccontare in merito a questa complicata relazione. Il motivo che mi porta ad impegnare gran parte del mio tempo nello studio e nella divulgazione della cultura giapponese è che, ancor oggi, dopo più di 15 anni, nel vivere questo “rapporto” ho due reazioni involontarie, accompagnate da due contrastanti esclamazioni: “wow!” e “assurdo”. È tutta un’alternanza di “Wow! Che bello, è meraviglioso, splendido!” e di “Assurdo: non ci posso credere. Lo sta facendo veramente?”. È come tornare bambino, ma con la capacità di analisi di un adulto: è emozionante, e finché c’è sentimento, non ho intenzione di smettere.
L’idea del libro “Il cammino del Giappone” da dove nasce, di conseguenza cosa ha rappresentato e rappresenta per lei la scrittura?
Durante il Cammino di Shikoku mi sono detto: è talmente unico che sarebbe bello poterlo condividere, farlo conoscere anche nel mio paese. Ho scritto a varie case editrici proponendo una guida, ma nessuno era interessato. Alla fine mi ha risposto Mursia dicendomi che non facevano guide ma erano interessati all’argomento e chiedendomi di raccontare il mio cammino? Avevo già scritto qualcosa, qualche racconto, ma nulla di più. Ero titubante, perché non ero e non mi ritengo ora uno scrittore. Però mi sono convinto e ho deciso di scrivere l’unica storia che conoscevo, la mia, iniziata sul cammino di Santiago e, per una serie di coincidenze e curiosi eventi, finita in Giappone, dove sono arrivato prima come lavoratore e poi come pellegrino lungo il millenario percorso dell’isola di Shikoku.
Ha un rapporto speciale anche con la natura, cosa significa per lei muoversi così tanto ed organizzare anche viaggi di questo genere?
Camminare è stato il mio modo per riconnettermi con la natura. Preso dalla mia carriera manageriale, mi ero dimenticato di quanto fosse bello calpestare l’erba a piedi nudi, abbeverarmi ad un ruscello, immergermi nel bosco e nella foresta senza fretta né veri obiettivi. I vari cammini che ho fatto in Europa, Sud America, India e Est Asiatico, mi hanno ricordato quella dimensione di empatia con la natura, ben espressa dalla definizione di biofilia: “Disposizione d’animo fascinata e sentimentale nei confronti delle altre forme di vita, specie quelle con cui la specie umana ha convissuto nella sua evoluzione”
Lei è un uomo dai molti progetti, può parlarci di dove si dirigerà a breve? I suoi sogni dove la stanno conducendo?
Durante il cammino nello Shikoku, mi sono imbattuto in alcune basi di Shinrin-yoku, occidentalizzato in Forest bathing, la cui migliore traduzione è proprio Immersione forestale. Ho avuto la fortuna di conoscere il partner ideale per proporre una versione adattata di questa pratica, la fondazione La grande via. Il dottor Franco Berrino e la socia fondatrice Enrica Bortolazzi, hanno creduto in questo progetto e da due anni proponiamo questo tipo di esperienza con la natura. Mi piace anche disegnare viaggi nel Giappone rurale dello Shikoku, quello che conosco meglio e che più mi rappresenta, ma, per il momento non è possibile viaggiare, o meglio, vivere liberamente il viaggio, quindi preferisco attendere momenti migliori dedicandomi a progetti in Italia e Spagna.
Lasci un messaggio ai nostri lettori…
C’è una frase del mio libro che riassume uno dei messaggi a cui più tengo: “Non ho ancora terminato i miei sogni, e il modo migliore per continuare a sognare è camminare”.
Foto per gentile concessione di Luigi Gatti