Se mia madre mi avesse imposto di fare anche il “cubo” (lenzuola, coperte e materasso piegati a formare un cubo: tecnica tipica dei militari di leva), potrei definire da caserma l’educazione che ho ricevuto, perciò, mentre Maria Cristina Taddei mi racconta del suo mestiere mi compiaccio quasi per come io mi senta così vicina al suo pensiero e al suo agire di home space organizer.
Ecco cosa fa una home space organizer: un lavoro di riordino. Obiettivo: riposizionare tutti gli oggetti che, a causa di una vita frenetica, si perdono nei meandri oscuri delle case e dei quali si smarriscono le tracce. Partiamo dal perché Maria Cristina viene chiamata a svolgere questa mansione: per mancanza di tempo e per mancanza di metodo.
La mancanza di tempo accomuna, ormai, la maggior parte di noi, ma, nello specifico, è la parte più facile da gestire. La mancanza di metodo è presto risolta: si chiama una home space organizer. Così con il suo kit, chiuso dentro una piccola scatola, Maria Cristina varca la soglia delle abitazioni, e quella scatola seguirà lei e la padrona come Linus con la coperta. Oh, non è che vi sia dentro chissà cosa: forbici, spago, nastro, sacchetti della spazzatura, tutto ciò che più o meno ciascuno di noi ha fra le mura domestiche, ma è, un po’, come con le penne: ne abbiamo in quantità, ma quando è il momento di scrivere, non ce n’è mai una che funzioni.
Ignoravo l’esistenza del “Manuale di economia domestica” del 1938, caposaldo sul quale si sono formate, nel corso di generazioni, ragazze di buona famiglia, così come ignoravo l’altro manuale: “Come diventare una perfetta padrona di casa”, e mai avrei immaginato che esistessero corsi organizzati da enti di formazione, fra cui quello che riguarda anche questa professione. Personalmente avevo una trainer, la mia nonna materna, la quale sosteneva che: “Ogni cosa ha un suo posto, ogni posto ha una sua cosa”. È stato il mantra quotidiano della mia infanzia, che si rispecchia in pieno nelle parole di Maria Cristina: lei arriva lì dove queste cose non hanno trovato il proprio posto, anche se il posto c’è. Realizzo che questo mestiere ce l’ha cucito addosso, vuoi per una gestione istintiva dei volumi, vuoi per l’impatto di simpatia e tranquillità che trasmette, tanto da farmi pensare che potrei concederle di “mettere le mani” dentro i miei armadi, cosa che non permetto manco a mio marito. Per lei la casa deve essere un ambiente dinamico, mentre la sensazione, che avverte quando entra nelle dimore delle clienti, è di donne senza fiato, per le quali l’ossigeno sia stato assorbito dagli oggetti, e che necessitino di un filtro esterno per respirare. Il primo step lo chiama “liberare lo spazio per i piedi”, e così, con gli occhi chiusi, invita queste donne “in apnea” a camminare per casa, per testare cosa vi sia d’intralcio.
Il lavoro è suddiviso in blocchi di tre ore, in cui la cliente è sempre presente ed è parte attiva. Tre ore, in cui vengono svuotati cassetti, pensili, armadi, angoli della casa, cantine, rispostigli. Tre ore di marasma, al quale si pone uno stop per stanchezza, per poi riprendere ancora per tre ore e portare al termine la missione. Se è vero che Maria Cristina arriva in situazioni in cui impera il caos è anche vero che, al termine del lavoro, non solo gli oggetti risultano più “morbidi” al tatto, ma le clienti scoprono che tutto sommato non sono così caotiche. «Basilare è lo stato d’animo giocoso, ed è fondamentale che la cliente prenda in mano quel determinato oggetto e ascolti la sensazione che le suscita.» Mi viene spontaneo chiederle perché parli solo al femminile: gli uomini in tutto ciò che atteggiamento hanno? Serafica, mi risponde che gli uomini per tutto ciò che li riguarda sono molto precisi per il resto si adeguano. Non posso che pensare a mio marito e al suo cassetto delle camicie da fare invidia a un negozio, tutte divise per colore, mentre non gli desta nessun turbamento il bagno in cui potrebbe essere passata una truppa da sbarco con le conseguenti inondazioni post doccia.
Maria Cristina prende fiato sotto l’ondeggiare delle foglie di un ciliegio giapponese: “Una volta, una signora, un po’ intimorita per come avrebbe potuto stravolgersi la sua camera, mi chiese la cortesia di non buttare il libretto e il biglietto dell’Aida, qualora li avessi trovati, perché erano un ricordo a lei caro. Li trovai, glieli mostrai: le luccicarono gli occhi. Terminammo il riordino della camera cantando a squarciagola l’aria Celeste Aida.”.
Il suo slogan è “Lo spazio mi viene incontro così, come per magia”. In un mondo tecnologico, in cui esistono app per risolvere ogni problema, mi rallegro al pensiero che esistano ancora rapporti umani e che, se la magia e il cantare rassettando creano leggerezza in un mestiere impegnativo e faticoso, nelle nostre case entri la versione moderna di Mary Poppins.
© Foto di Silvia Ammavuta