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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

La Toscana e il dialetto apuano (quarta parte)

DiGian Luigi Telara

Giu 20, 2022

Avenza: la Torre di Castruccio

Nell’alto medioevo Carrara, denominata Carraria nel latino ecclesiastico, manteneva una certa identità linguistica, mentre la fascia costiera subiva più facilmente modificazioni derivanti dagli influssi “stranieri”.

La nascita del “borgo nuovo di Avenza” verrà trattata nelle prossime puntate de La lingua del marmo, al momento ci soffermiamo sulla Torre di Castruccio. Il “Castrum Aventia”, come era chiamata in origine la fortezza di Castruccio Castracani, venne costruito nel 1328 su una fortificazione, preesistente, fatta erigere dall’imperatore Arrigo VII, alle cui esequie nella cattedrale di Pisa nel 1311, partecipò anche Dante. Di questa fortificazione, purtroppo, rimane solo una torre e poco più. Alla sua quasi completa distruzione contribuirono, fortemente, l’opera di demolizione ottocentesca per ottenere materiale di recupero edile e i pesanti bombardamenti bellici della Seconda guerra mondiale. Era frequente che le antiche rocche abbandonate venissero usate dai residenti come cave gratuite per la riedificazione di nuove abitazioni. Anche a Lucca l’anfiteatro fu depredato e il materiale edile recuperato per altre costruzioni. Accanto all’anfiteatro lucchese c’è ancora l’antica “Piazza degli Scalpellini”, così chiamata in ricordo degli scalpellini che lavoravano le pietre, i mattoni, le colonne e i capitelli recuperati per adattarli alle nuove esigenze.

Il borgo di Avenza, dopo la morte di Castruccio, passò sotto il controllo di vari proprietari della Signoria di Carrara, di cui seguì le sorti. In seguito, dal 1473 al 1829, rientrò nei domini dei Cybo-Malaspina e degli Estensi, grazie alle strategie di controllo dei territori realizzate mediante matrimoni tra dinastie coronate. Maria Teresa, l’ultima erede dei Malaspina, assunse il governo del ducato di Massa e Carrara nel 1731 e nel 1741 si sposò con Ercole III d’Este, erede del ducato di Modena. Iniziò un periodo di benessere e la costruzione di chiese, delle nuove mura della città di Carrara e del porto. Vennero fatte arrivare tante famiglie dal modenese, a cui furono date terre appena bonificate, quindi lungo la fascia costiera.

Per volere del Duca di Modena venne aperta la “Via Vandelli” che univa Modena al mare sulla costa massese, e che, passava per Pavullo nel Frignano, San Pellegrino in Alpe, Castelnuovo, Vagli e Resceto, superando il difficile Monte Tambura. La Via Vandelli venne terminata nel 1751 e rimase in uso fino al periodo finale della dominazione estense su Massa. La via fu percorsa dallo stesso penultimo duca estense nel 1818, anno della Restaurazione. Con l’unità d’Italia, dopo un secolo circa di utilizzo, la via Vandelli andò incontro ad una lenta e progressiva perdita di importanza, venne incorporata nella viabilità ordinaria il nome venne mantenuto solo nel tratto terminale: la attuale mulattiera da Resceto a Massa.

L’importanza del collegamento tra il ducato di Modena e la costa testimonia la natura di “porto di mare” delle zone costiere quali Avenza e Marina, che nasce propriamente in epoca successiva, in seguito all’insabbiamento della costa.

Dopo la morte di Maria Beatrice, nel 1829, il Ducato di Massa e il Principato di Carrara passarono al Ducato di Modena e Reggio, che, a sua volta fu annesso al Regno di Sardegna nel 1860, momento in cui nacque la provincia di Massa e Carrara. L’afflusso modenese e i grandi scambi commerciali del porto, resero naturale una forte esposizione ad influssi linguistici di ogni tipo. Per questo motivo, la lingua locale, soprattutto della fascia costiera, prima ad Avenza e poi, con l’allungamento della pianura dovuto all’insabbiamento, anche a Marina, assunse toni ulteriormente più morbidi, grazie agli influssi, ancora una volta, di tipo gallico, derivanti specialmente dal modenese, evidenti in particolar modo nella fonetica.

I lucchesi invece, probabilmente, non influirono particolarmente sul dialetto apuano per la differente origine etnica, sebbene su questo non c’è una certezza scientifica. Forse, nel dialetto apuano ci fu anche un influsso lucchese che ne marcò la fonetica in senso romanzo e apportò vocaboli “italiani”, che, al nostro orecchio attuale, risultano meno evidenti. Vedremo che i mutamenti fonetici tipici del “volgare” furono infatti importanti anche nella “valle” apuana. In ogni caso, i mutamenti fonetici che gli antenati degli apuani portarono alla “volgarizzazione” della attuale parlata furono costanti nel tempo e avvennero, in egual modo in tutte le popolazioni italiche.

In più il nostro dialetto aveva però anche una particolarità che condivide con le nostre regioni insulari e del sud italia: i suoni cacuminali. è probabile che questi suoni siano addirittura preindoeuropei e che siano pertanto legati alla diffusione di una lingua parlata lungo le rotte commerciali che percorrevano il mediterraneo in epoca pre-celtica. ne mancava tuttavia ancora una volta la rappresentazione grafica.

Prima parte

Seconda parte

Terza parte