foto di Silvia Meacci
È stata una vera sfida riuscire ad avvicinare al mondo del digitale il celebre fotografo pistoiese, classe 1938, che ancora lavora in camera oscura. Eppure il risultato della mostra Aurelio Amendola per Michelangelo. Il primato dell’informale, curata da Antonio Natali, è davvero coinvolgente. L’inaugurazione è stata il 13 novembre scorso. Durante la conferenza d’apertura, Amendola ha scherzato: “Abbiamo messo Michelangelo nel rifugio”, alludendo alla sede dell’esposizione, il “Rifugio Digitale”, antico tunnel antiaereo del 1943, riconvertito in un suggestivo spazio espositivo dove la tecnologia sposa l’arte. Il fotografo, celebre sia per i ritratti di artisti tra cui Burri o Andy Wharol, sia per gli scatti alle sculture di Pisano, Canova, Bernini, Michelangelo, ha ammesso di essersi affidato al professor Natali per questa nuova avventura. Con lui in passato aveva già realizzato progetti bellissimi agli Uffizi, al Museo dell’Opera del Duomo, nel Palazzo Comunale di Pontassieve.
Natali ha voluto sottolineare come la materia in sé sia fondamentale per Aurelio e come le foto delle opere di Michelangelo siano particolarmente riuscite. “Qui al Rifugio Digitale si è scelto di riservare all’astrazione e alle figurazioni informali il ruolo di preminenza, chiedendo ad Aurelio di indirizzare stavolta il suo obiettivo su brani aniconici, estraendo dalle foto di Michelangelo da lui nel tempo scattate, quanto appunto di aniconico lo abbia toccato”.
Favorito dall’incompiutezza delle opere michelangiolesche, Amendola ha quindi travalicato l’interpretazione veridica verso quella aniconica.
Grazie ad Amendola i marmi di Michelangelo diventano esegesi in figura, riflessioni attraverso una lettura contrastata di bianco e nero. Con il lume diffuso il fotografo esalta il pathos che Michelangelo riuscì a raggiungere nelle sue sculture, espressioni della maniera moderna che il Vasari riconobbe in lui, in Raffaello e in Leonardo, il “primo a dare il moto e il fiato”. Con sbattimenti forti di luce ed ombra, Amendola trova nella materia una bellezza nuova data dalla caratteristica ingenita del marmo e dalla mano umana. Scorre il corpo di Cristo nella Pietà e indugia nei “meandri d’una materia inquieta”, scivolando tra un rigonfio osseo e una depressione della carne nella Pietà Bandini, capolavoro incompiuto e perfetto dell’ormai anziano Michelangelo. Come ha affermato il fotografo stesso: “Con sciabolate di luce ho voluto mostrare ciò che la gente non vede”. Parti, imperfezioni, dettagli informi e informali con uno sguardo che esalta l’astrazione e il dettaglio materico.
Aurelio Amendola per Michelangelo
Il primato dell’informale
Rifugio Digitale
Firenze
Fino al 5 gennaio 2025