prima parte
In occasione della XXVII^ edizione de L’Eroica, Diari Toscani ha incontrato Gioia Bartali nipote del grande campione degli anni Quaranta e Cinquanta, Gino. Dopo poco la nascita di Gioia la famiglia si trasferisce, per questioni lavorative, da Milano a Fiesole dove risiede per sei anni, per trasferirsi ancora una volta, sempre per questioni lavorative, a Macerata. Ragioniera in una piccola azienda, vive da 30 anni a Montegranaro, paese calzaturiero d’eccellenza.
Montegranaro, una scelta legata anche a suo nonno Gino.
Sì, abito qui perché fu a lui che chiesi un favore, l’unico, quello di aiutarmi a trovare un lavoro. ‘Ho tanti amici’, disse, e mi presentò a una persona speciale: Michele Gismondi, gregario di Fausto Coppi. Se ci pensa è una cosa anche un po’ bizzarra! Michele purtroppo ora non c’è più, era una persona d’oro. Il rapporto che mio nonno aveva con tutte le persone che ha conosciuto durante la sua carriera da professionista, era basato sulla cultura dell’affetto e sul rispetto. Dopo le corse soleva dire: ‘Si continua ad andare avanti’, cioè ci si incontra e si coltivano i rapporti umani.
Suo nonno veniva chiamato Ginettaccio…
Ginettaccio, non perché fosse una brutta persona, tutt’altro. Veniva chiamato così per il suo carattere schietto, leale e sincero, quello che doveva dire lo diceva: pane al pane e vino al vino. Era un’espressione colorita per definire un personaggio che diceva la sua, bonariamente, ecco l’origine del soprannome.
Gioia, lei va in bicicletta?
Sì, nelle ciclostoriche.
A che età ha imparato?
Molto presto. La prima bicicletta me l’ha regalata il nonno.
E chi le sorreggeva il sellino?
Un po’ mio padre, nel giardino pubblico in Piazza Elia della Costa, a Firenze, davanti a casa dei nonni, e anche mio nonno. Ero piccola, ho iniziato molto presto.
Che nonno era Gino Bartali?
Era una persona molto discreta, non era quello che ti prendeva in collo e ti faceva fare i “vola vola”. Era molto riservato e moderato nel dimostrare affetto, ma aveva una qualità molto importante: lui era sempre “presente”, e ogni componente della famiglia sapeva che poteva contare su di lui, era di una disponibilità infinita. Ho vissuto con lui e la nonna per un anno, a Firenze, l’anno in cui frequentai la terza media. Ecco, un piccolo esempio: in casa c’era un barattolo e lì metteva gli spiccioli che sarebbero serviti per la merenda a scuola, sono le piccole cose che danno la percezione della presenza di una persona. Per lui era fondamentale che alla famiglia non mancasse mai niente.
Un ricordo di un momento del quotidiano che ha vissuto con suo nonno da adulta, il primo che le viene in mente…
Risale ai primi degli anni ’90: andammo insieme a Ponte a Ema dal suo macellaio di fiducia, lo stesso che gli forniva gratis, negli anni in cui correva, le bistecche. Lui in segno di gratitudine continuò a comprare le bistecche in quella macelleria. Una curiosità: il nonno era goloso, ma con l’età doveva fare attenzione, era perennemente a dieta sotto stretto controllo della nonna che lo curava. Ecco, quel giorno davanti alla vetrina guardava la finocchiona, combattuto sul da farsi, finché capitolò: «Dammene tre fettine», disse quasi sottovoce, al macellaio. Pensi che una sera a cena, mi raccontò papà, riuscì a mangiare dodici cremini!
Come vive il mito del nonno? E quanta responsabilità c’è nel portare avanti la sua memoria?
Innanzitutto dico sempre che mi sento baciata non so da chi, anche solo per poter dire: Gino Bartali era mio nonno. Per me è stato un privilegio poterlo vivere e avere ricordi privati: pranzi, cene, stare seduti sul divano. Insomma, poter godere i momenti del quotidiano. Ho il ricordo di lui che parlava spesso al telefono, perché erano molte le persone che lo chiamavano e riceveva anche tanti inviti. Tornando alla sua domanda, mi sono presa l’impegno di portare avanti la storia di una memoria importante, ed è una grande responsabilità. Quella di Gino Bartali non è una “storiella” ed è bello pensare che tutto ciò che ha fatto nella vita sia di esempio anche per gli altri. È importante che i suoi messaggi, impregnati di valori fondamentali, siano consolidati in una realtà che oggi, ovviamente, non è più quella in cui lui ha vissuto. Ha impostato la vita, agendo con la convinzione e la determinazione di fare del bene. Mio nonno era un fervido credente, un cristiano, e ciò che faceva non lo raccontava, ha fatto tanto del bene e probabilmente tante cose non le sapremo mai. Ci sono tutte le lettere che ha scritto a mia nonna in 20 anni, nel rileggere e riordinare questa corrispondenza, la nonna trovò una lettera in cui un parroco lo ringraziava per aver donato la sua bicicletta per una pesca di beneficenza della parrocchia, e di questo nessuno ne era al corrente. Secondo me sono veramente tante le cose che non verremo mai a sapere.
Gino Bartali “Giusto fra le Nazioni”…
Guardi che, anche questo è stato scoperto, il nonno non ne ha mai parlato. Non era lui che consegnava i documenti, lui li nascondeva nella sua bici. Tutte le persone che si sono salvate, circa 800, non hanno mai saputo che fosse grazie a lui. Per essere definiti “Giusto fra le Nazioni” è necessario aver salvato un ebreo, però, per rendere questo titolo valido, per avere questo riconoscimento è necessaria la testimonianza dell’ebreo salvato, non di un parente, quindi quell’ebreo deve essere ancora in vita, e questo fu possibile grazie alla testimonianza di un ebreo salvato. Non fu un percorso facile perché quando venne fatta questa ricerca erano già passati tanti anni, e nessuno era a conoscenza di questa storia, neanche mia nonna. Il nonno, per oltre un anno, aveva tenuto nascosta una famiglia di ebrei in una cantina vicino a dove abitava. Fu grazie al mio amico giornalista Adam Smulevich che venne tutto alla luce. Adam lanciò un appello tramite Pagine Ebraiche, in cui si chiedeva se ci fosse un ebreo salvato da Gino Bartali e rispose Giorgio Goldemberg.
Quanto la storia del nonno è parte della sua storia?
Ho iniziato questo percorso per affetto, non per necessità. Nel 2017 è morto il mio papà, Andrea: era lui quello della famiglia che portava avanti la memoria del nonno. Ha scritto anche un libro: ‘Gino Bartali, mio papà’. Un giorno, mentre ero da lui, e purtroppo stava già male, risposi a una telefonata che venne fatta da una scuola di Reggio Emilia in cui lo invitavano all’inaugurazione perché i bambini avevano scelto di intitolarla a mio nonno. Dato che mio padre non era in grado di andare lo proposero a me, e io accettai. Dopo poco, nel 2018, partì il Giro d’Italia da Gerusalemme in onore di Gino Bartali e per una serie di circostanze fui l’unica della famiglia disponibile ad andare. Ho scoperto un mondo, da quel momento ho cercato di essere sempre presente alle manifestazioni ciclistiche. Ho avuto, e ho, modo, di fare molte amicizie e, quando vengo chiamata, vado nelle scuole. Non sono un’insegnante, non sono una giornalista, non ho competenze particolari, ma cerco di trasmettere quello che è il mio sentimento, anche se non è così semplice. Mi piace raccontare l’uomo, non solo il campione; raccontare l’aspetto umano mi gratifica tanto. Ho avuto la possibilità di parlare di Gino Bartali in tante parti del mondo, in Argentina, in America: Detroit, Chicago, in Israele, e in tanti altri posti ancora. Questo mondo mi coinvolge tantissimo, anche se non sempre è facile coordinare tutti gli impegni legati al lavoro e alla famiglia.
continua…