Da quattro anni, da quando è mancata mia moglie, abbiamo deciso con le mie figlie di non festeggiare più i compleanni, non avrebbe senso, troppi ricordi. Era infatti lei il “deus ex machina”, sia perché ricordava perfettamente le date di nascita di tutti i parenti ed amici sia perché era impareggiabile nell’organizzazione degli eventi, sia perchè, soprattutto, era dotata di un’innata abilità di pasticciera.
Ogni compleanno sapeva inventarsi squisite torte che per il gusto, la forma ed il colore si attagliavano perfettamente alle caratteristiche salienti del festeggiato e, si badi bene , sulla torta dovevano esserci tutte le candeline rispondenti all’età del medesimo – cosa, questa, che, con l’andar degli anni, assumeva, almeno per noi diventati nonni, le forme di un vero falò per spegnere il quale dovevamo far ricorso a tutto il fiato dei polmoni aiutati quasi sempre dalle nipotine nell’allegria generale. Alla fine però anche noi ci siamo dovuti adeguare alle candele col numero per evitare di fare torte come la tolda di una portaerei.
Dopo il pensionamento ero stato cooptato nel ruolo di aspirante assistente di pasticceria con il compito di planetaria umana, pastorizzatore di uova e varie altre mansioni di supporto, sicché potevo ammirare sempre le sue capacità nell’amalgamare i vari ingredienti e trasformarli in piccoli capolavori di estetica, grazie alla sua abilità nell’uso del sac à poche. Giornate indimenticabili nelle quali si parlava e si parlava: di noi, dei figli, del passato e del sogno, poi realizzato, della casetta col giardino…Tutto finito.
Ricordate il Cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie che festeggiava i non compleanni? Stavolta, in occasione del mio genetliaco, abbiamo fatto semplicemente una lunga passeggiata durante la quale s’è deciso di andare una domenica a pranzo fuori, così, per stare un po’ assieme a ricordare in un giorno qualsiasi di non compleanno. A completare questa rimpatriata sono arrivate, con mia somma gioia, anche Gaia e Greta, le nipoti più grandi, una da Amsterdam, dove lavora e l’altra da Pavia, dove studia.
E così, domenica scorsa, siamo andati a Levigliani al ristorante Vallechiara, gestito da una cara compagna di università di mia figlia Cristina, alla quale avevo raccomandato di farci riservare un posto appartato dove si postesse mangiare in santa pace. Siamo arrivati all’ora di pranzo: Cristina ci ha preceduto con il marito e gli altri due nipoti Sofia e Marcin, e, dopo aver parcheggiato in un ampio spazio riservato, ci siamo diretti verso il ristorante. Appena spalancata la porta della sala da pranzo, sono rimasto sconcertato: una grande tavolata campeggiava in mezzo alla sala. Ecco, ho pensato fra me e me, anche oggi si mangia nella bolgia.
Questione di un attimo, poi sono stato accolto da un coro di “SORPRESA!” e circondato da tutti i miei famigliari e dagli amici più cari, alcuni venuti da lontano, con i quali ho condiviso la mia, ormai posso dirlo, lunga vita.
Abbracci, baci ed ancora abbracci ed ancora baci fra le lacrime che mi rigavano il volto. Mi sono commosso, non mi aspettavo una così grande manifestazione d’affetto nei miei confronti. Le mie ragazze, Paola e Cristina, come ho saputo poi, hanno lavorato duramente per un paio di settimane contattando e convocando amici e parenti, senza che io mi accorgessi di nulla. Evidentemente come organizzatrici hanno preso tutto dalla madre. Il pranzo, in una sala addobbata con i colori dell’autunno e di ottima qualità, si è svolto in un’atmosfera allegra e conviviale nella quale, passato il momento di commozione, anch’io sono riuscito a partecipare con gioia. Ho guardato ad uno ad uno i volti delle persone attorno alla tavola e, perbacco, a parte i miei pochi coetanei, mi sono reso conto che li ho visti quasi tutti nascere.
Finito il pranzo sono stato sommerso di regali a testimonianza di altre manifestazioni di affetto; poi foto ricordo e la promessa di ritrovarci ancora.
Ottant’anni, o, come dicono i francesi, quatre-vingt ossia quattro (volte) venti a dimostrazione di come l’età anagrafica non corrisponda mai all’età che ci si sente. In effetti è vero, la vita è una continua rinascita, basta solo essere sempre curiosi, desiderosi di apprendere e capaci di amare. La ricompensa sarà una vita piena che ti restituisce molto più di quanto hai dato. Li rivedo i miei primi vent’anni, il dopoguerra pieno di speranze, la scuola e l’incontro con quegli occhi verdi che sarebbero stati l’amore della vita. Poi di nuovo altri venti, la sicurezza del lavoro, il matrimonio, i tanti problemi affrontati assieme, la nascita delle figlie e l’impegno per la loro educazione e poi di nuovo altri venti con l’acquisto della prima casa e la soddisfazione di vedere le nostre ragazze affermarsi nella vita. Infine il quarto ventennio, la pensione, la casa col giardino e l’inizio del mestiere più bello del mondo: quello dei nonni a tornare a scoprire la vita con gli occhi e la curiosità dei bambini. Poi la dolorosa fine della speranza di arrivare al termine della vita tenendoci per mano.
È così iniziato il quinto ventennio, sono sommerso dall’affetto dei miei cari, continuerò ad essere curioso e, per quanto mi sarà possibile, a dare amore. Paura della morte? No perché quando verrà, ed è naturale che ciò accada, mi troverà pronto, pronto a ricongiungermi con la mia ragazza dagli occhi verdi.