Foto di copertina di Pietro Marchini
Sono l’ultimo polmone verde che si estende fra le località di Avenza e Marina e, come tutto il territorio del comune, anch’io appartengo ad una storia fatta di grandezze e di miserie. Ricordo quando fui bonificata dopo il ritiro del mare che un tempo lambiva Avenza e, verso la fine del XVIII secolo, la famiglia Del Medico costruì una villa utilizzando marmo bianco e rosso-mattone, con annesso giardino e una cappella. A fianco una casa colonica in cui abitava il fattore, con contigui cantina e magazzini. Le carte ci dicono che alla fine degli anni Settanta del 1700 la tenuta copriva una superficie di otto ettari, coltivata con più varietà agricole rendendo fertile tutta la pianura. A questo punto della storia si inserisce l’ingegner Pietro Ceci che ricoprì la carica di Presidente del Consiglio di amministrazione della Ferrovia Marmifera negli anni1903-1919: acquistò la villa e la ampliò. Ricordo anche la costruzione della villa Giampaoli negli anni 1909-1920, lungo il viale XX Settembre sopra un terreno di sei ettari acquistato dai Del Medico. Non potrò mai scordare i tragici eventi della seconda guerra mondiale e in particolare il giorno 22 maggio quando alle 11,30 un bombardamento aereo colpì me e il territorio di Marina facendo 45 vittime e numerosi feriti. Tuttavia, l’immediato dopo guerra fu un periodo tranquillo, oserei dire felice, perché sul mio territorio passavano intere giornate, soprattutto nella bella stagione, molte famiglie con le sporte piene di viveri, dalla colazione al pranzo permettendo ai bambini di giocare sul mio prato o fra gli alberi che numerosi formano una grande pineta. Giocavano a pallone, a rimpiattino e a rincorrersi nei numerosi vialetti. Ricordo anche che molti tornavano a casa con le sacche piene di more, che allora crescevano rigogliose, per fare delle succulente marmellate o mangiarle al naturale. Ero veramente un’oasi di pace e serenità, mi beavo anche della vista della Alpi Apuane e del cangiare del loro colore durante le ore del giorno e sognavo… sognavo… sognavo.
Ma, come spesso succede, i sogni restano nel cassetto e piano piano, quasi in sordina, è iniziato il mio declino. In poco tempo sono stata ridimensionata e saccheggiata dalla costruzione di numerose segherie lungo il torrente Carrione e dall’edificazione di case e palazzi sulla direttrice del viale sopra citato. La mia bella villa è abbandonata, le entrate sono murate, la casa colonica non ha più nessuna funzione, i campi non sono più curati e tanto meno coltivati. Quello che soprattutto rimpiango sono le voci gioiose dei bambini, le loro scorribande, le superflue parole dei genitori che li invitavano a calmarsi in un ambiente assolutamente privo di pericoli. Purtroppo, ora i pericoli ci sono, non solo per l’abbandono della comunità, ma per la frequenza sempre maggiore di sbandati che trovano nella mia pineta, trasformata dall’incuria in una foresta intricata, il terreno favorevole alla loro vita dissennata.
Nonostante tutto questo, l’appetito morboso di alcuni imprenditori vorrebbe trasformarmi in una succursale dei loro conti bancari, aumentando a piacimento la cementificazione e stravolgendo la storia che mi appartiene. Faccio appello alla sensibilità di coloro a cui sta a cuore il futuro perché questo non avvenga, ma che invece si dia inizio ad una riqualificazione di tutta l’area, conservando tutte le antiche peculiarità, in modo che la comunità possa usufruirne.
In fede Villa Ceci.