foto di Silvia Meacci
Si è conclusa la prima fase di restauro dellla Cappella Bardi nella Basilica di Santa Croce. Le pitture murali di Giotto raffiguranti “Le storie di San Francesco”, molto trascurate nel tempo per incuria, dimenticanza, infiltrazioni e restauri invasivi, sono testimoni di una storia tribolata di indagini e discussioni, problemi attributivi, spesso comparate con gli affreschi giotteschi nella Basilica Superiore di San Francesco di Assisi della fine del duecento, e quelli nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Quando con esattezza l’artista, con i suoi collaboratori, abbia eseguito a Firenze il ciclo di pitture commissionate dai Bardi, ricchi banchieri, non si sa. Si presume tra il 1323 e il 1328. Certamente dopo il 1317, anno in cui fu canonizzato Ludovico da Tolosa che nel ciclo di affreschi appare con l’aureola. Proprio per la presenza del santo, vescovo e francescano francese, principe della casa reale d’Angiò, altri pensano che il ciclo risalga a un periodo più tardo, dopo il 1333, in seguito al soggiorno napoletano dell’artista.
Il restauro è stato affidato a Cristina Acidini, presidente dell’Opera di Santa Croce, e Emanuela Daffra, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure che nel presentare il progetto alla stampa ha spiegato: “Esistono artisti che ci aprono a inediti modi di guardare l’arte, che segnano un salto irrevocabile. È il caso di Giotto e questo spiega l’interesse attorno al ciclo pittorico della Cappella Bardi, sintesi della sua capacità espressiva. Il restauro, lavoro corale di competenze e alleanze, è ancora in corso ma a un punto di svolta”. Al momento si vede la mano di Giotto e si vedono le “ferite”, i danni”.
La cappella nel 1730 fu infatti coperta da uno “scialbo”, imbiancatura a calce, perché forse le pitture non erano più alla moda e successivamente ospitò due monumenti funerari che rovinarono inevitabilmente le pareti. Solo nel 1851 la pittura trecentesca riaffiorò e Gaetano Bianchi, celebre restauratore, lavorò con entusiasmo per trovare, sotto lo scialbo, un Giotto ancora “parlante”.
Tuttavia per rimuovere l’imbiancatura e i due cenotafi, le pareti furono compromesse con graffi e abrasioni. Inoltre l’intervento restaurativo, consono alla filosofia dell’epoca, apportò integrazioni in “stile” laddove mancava il colore. Solo tra il 1957 e il 1958 il successivo restauro tese a restituire un Giotto più autentico eliminando i completamenti pittorici. Furono tuttavia utilizzati fissativi sintetici, vinilici ed è con questo ultimo intervento, oltre che con i danni dovuti all’alluvione e al tempo, che si confronta l’attuale “Progetto Giotto”: 3 anni ipotizzati di lavoro dal 2022 all’estate 2025, sette restauratori, 180 m quadri di pittura e intonaco, 10 istituti universitari coinvolti in ricerca e indagini, un comitato scientifico composto da esperti di restauro e studiosi dell’opera di Giotto e un generoso sostegno finanziario di Fondazione CR Firenze e ARPAI.
Il lavoro già eseguito e mostrato alla stampa, è a metà, ma è a un punto cruciale. La delicata fase di pulitura ha mirato a sanare, a guarire le efflorescenze saline, le fratture profonde nell’intonaco riapertesi dopo il 1959, il sollevamento della pellicola pittorica, i distacchi tra gli strati riuscendo a riscoprire la pittura di Giotto, la sua freschezza. Ha evidenziato ciò che manca e i restauratori hanno visto fiorire sotto i loro occhi dettagli che prima non erano visibili, ad esempio, una basetta lungo la guancia di un volto, delicata, realistica, una decorazione geometrica. Adesso sono leggibili le pennellate di prova, la sinopia, il disegno preparatorio. Grazie ad esami diagnostici di altissima tecnologia, si sono evidenziate anche le buche pontaie del cantiere giottesco.
“Il progetto di restauro è come una quercia”, ha continuato Emanuela Daffra, “il lavoro che noi mostriamo è a metà, ma già nel 2010, grazie a un grant della Getty Foundation, erano stati condotti studi per approfondire le tecniche giottesche e lo stato di conservazione della Cappella Bardi. Da allora gli strumenti diagnostici si sono raffinati sempre di più e, prima di metter mano a siringhe o tamponcini, si è dovuto fare un lavoro radicale. A pulitura conclusa, passati dal degrado alla fermatura, possiamo dire che finalmente si vede ‘Giotto'”.
Salire sui ponteggi ad ammirare le pitture da vicino è come essere accanto al pittore. Escono fuori la potenza prospettica, la stabilità delle figure, la complessità del colore. È emozionante ammirare i volti dai tratti realistici, gli sguardi sbigottiti, sbilenchi e vividi ne “La prima apparizione post mortem”, o, ne “La prova del fuoco” in cui San Francesco, con il suo grande carisma, predica davanti al sultano, figura maestosa, sfidandolo. Gli occhi dei volti raffigurati ci parlano.
A fine restauro saranno consentite visite guidate sui ponteggi e addirittura da ottobre 2024 a luglio 2025, in anteprima, come regalo di Fondazione CR. I residenti di Firenze e Città Metropolitana potranno prenotare una visita a partire da ottobre. “A tu per tu con Giotto”.
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