foto di Silvia Meacci
La carabaccia è una zuppa toscana per la cui preparazione sono necessarie tante cipolle, meglio se di Certaldo, cotte a lungo in un tegame di terracotta con l’olio d’oliva in purezza o con un trito di sedano e carote. La pentola deve rimanere chiusa e, solo se necessario, si utilizza dell’acqua calda. Sale, pepe nero e una punta abbondante di zucchero completeranno l’opera. La zuppa si serve in piatti rustici con pecorino grattato sopra e crostini di pane con pecorino fuso. È un piatto che scalda il cuore. Pare che Leonardo da Vinci la apprezzasse molto. Da più fonti si apprende che il genio toscano, che anche in tema di alimentazione si è espresso con trasporto e giudizio (è noto il suo famoso sonetto caudato al riguardo), era vegetariano, ma non vi è certezza assoluta. Sicuro è che la sua famiglia a Vinci possedeva una beccheria, vale a dire una macelleria e che lui amava lodare il cibo che gustava in Valtellina, citando anche la carne.“Fa vini potenti e assai, … e ‘l vino vale el più uno soldo il boccale e la libbra della vitella un soldo e ‘l sale 10 dinari, e ‘l simile il burro, ed è la loro libbra 30 once, e l’ova un soldo la soldata”.
Nel 1500 la carabaccia si trovava comunemente nelle osterie e rinfrancava gli avventori. Cristoforo da Messisbugo nel suo “Libro novo nel qual si insegna a far d’ogni sorte di vivanda” del 1557, la chiama “Carabazada de magro”. A quei tempi prevedeva, sì, l’uso di tante cipolle precedentemente lessate e poi cotte con olio, tuttavia era arricchita con mandorle pestate e stemperate con l’agresto, un condimento ottenuto dagli acini dell’uva mai maturati. Alla fine si aggiungeva un pochino di zucchero sul piatto di portata e della cannella. La carabaccia, insieme alla pappa col pomodoro, l’acqua cotta, i ravioli d’erbe e formaggio, continuò ad esistere in Toscana, anche nel 1700 dopo la caduta dei Medici e con l’avvento dei Lorena quando il fasto a corte tese a scemare.
La carabaccia è da considerarsi l’antenata della celebre “soupe à l’oignon” francese? La leggenda vuole che sia stata Caterina, figlia di Lorenzo II de’ Medici, andata in sposa a 14 anni al figlio del Re di Francia, il Duca d’Orleans Enrico II, a portare oltralpe ingredienti come olio d’oliva, piselli, carciofi, spinaci, fagioli e ricette come crespelle, zuppa di cipolle, salsa colla, volatili cotti con l’arancia, gelati, zabaione, sorbetti, oltre all’uso del tovagliato e della forchetta. E mentre le corti italiane cominciavano gradualmente a decadere, Parigi crebbe sempre più, diventando modello di raffinatezza e cucina, adottando ed esportando, anche a livello internazionale, pietanze andate invece in disuso in Italia. Che la cucina francese fiorita nel milleseicento abbia le sue origini nelle iniziative di Caterina de Medici è vero o no? È ampio il dibattito in questione.
Tanti sono i riconoscimenti da parte dei francesi. Citiamo il celebre Antonin Carême che nel 1822 si dichiarò grato alla regina italiana. Tuttavia tanti autori antecedenti non la citano mai. Una lettura essenziale sul tema è “La table de la Renaissance. Le myte italien”. Qui si parla del mito italiano alimentato negli anni ma senza prove inconfutabili. Gli autori di questo testo faticano a trovare un legame italiano con lo sbocciare della cucina francese, se non in una rete antecedente di influenze e interconnessioni. Caterina portò per esempio tra i suoi libri una copia de “L’Opera di Bartolomeo Scappi, detto il Platina, mentre nel 1682 a Bologna si pubblicò la prima traduzione de Le Cuisinier François di François Pierre de la Varenne. Alla base dunque parrebbe piuttosto esserci un’ampia circolazione di costumi, abitudini e idee. Rivendicazioni a parte, la carabaccia, il cui nome deriva forse dalla parola greca “karabos”, “barca a forma di guscio”, a descrivere la zuppiera che la conteneva, è giunta fino a noi. E siccome le sere settembrine cominciano a farsi frescoline e la nostalgia dell’autunno pigro incalza, ecco che questa pietanza nella versione moderna potrebbe fare al caso nostro.