Siamo a Roma nella torrida estate del 1426. Ai lati delle strade della città eterna ci sono accatastati i corpi delle persone che la peste, con le sue ali nere, ha portato via. Nella Piazza del Campidoglio una folla si è radunata, malgrado il pericolo del contagio e il calore intenso che proviene dal rogo acceso. È il giorno 8 luglio del 1426 e si sta per compiere il primo atto brutale, di tanti che flagelleranno l’Europa nei secoli successivi, arrivando anche nel Nuovo Mondo. Per giungere a quel giorno di luglio, dobbiamo partire da qualche anno prima. Un piccolo frate nato a Massa Marittima, in Toscana, è arrivato a Roma nel 1424 per portare la parola di Dio. A causa della sua statura venne chiamato Bernardino da Siena, in quanto crebbe a casa delle sue zie, appunto a Siena, essendo rimasto presto orfano. Il suo fervore religioso era tale da far dimenticare la sua altezza e farlo assurgere a un gigante ed avere un grande seguito nelle sue predicazioni nell’Italia del nord. Bernardino scrisse trattati dedicati all’economia, all’etica commerciale e all’onestà, contro l’usura e il gioco d’azzardo, forse qualche anno fa avrebbe votato per Beppe Grillo. Come dicevamo arrivò a Roma, mentre in Vaticano sedeva Martino V, il Gran Maestro dell’Ordine di Cristo, apparteneva alla potente famiglia Colonna. Martino V aveva risolto l’annosa questione dello Scisma d’Occidente e non tollerava le dispute e quindi neppure il divisivo Bernardino da Siena. Il Papa si invaghì di quel frate che si difese da solo, con un’arringa incredibilmente credibile, durante un processo di eresia e Roma. Martino V in quel periodo aveva bisogno di un predicatore instancabile come Bernardino: la peste non lasciava respiro. Il papato era distratto dalle eresie e gli scismi e non aveva mai condannato la stregoneria. Perfino Sant’Agostino la riteneva una superstizione puerile e ratificò la sua opinione nel Canon Episcopi, definendo le streghe, delle poverette vittime di illusioni diaboliche, che i sacerdoti dovevano aiutare in qualche modo a redimersi. Strega era un termine di uso comune per definire una donna che non ricopriva i canoni dettati in quel periodo e derivava dal latino strige. Secondo la mitologia, la strige, era un uccello orrendo con artigli taglienti, becco affilato a forma di uncino e seni simili a quelli femminili, contenenti una sostanza velenosa che davano ai neonati per ucciderli e poi succhiarne il sangue, una cosa che neppure Dario Argento, Tim Burton e tutti i registi horror si immaginavano. Arriviamo alla protagonista della nostra storia. A Roma viveva una donna di professione ostetrica, immaginando cosa potesse significare far nascere un bambino nelle condizioni igieniche e pestilenziali dell’epoca. Finnicella o Funicella, secondo le testimonianze che ci sono giunte, ebbe la sventura di imbattersi nella caccia alle streghe o meglio del pregiudizio che quando qualcosa andava male, era colpa delle donne. Sul suo conto giravano voci terribili. Si diceva che avesse ucciso trenta infanti per succhiarne il sangue, addirittura il suo stesso figlio ridotto in polvere per qualche rito magico. Torniamo al mito di strige: insomma Finnicella era una strega, una figlia del demonio che andava redenta. Il problema nacque dal fatto che non si sarebbe trattato di qualche preghiera e rosario, ma di una pena decisamente differente. Finnicella venne imprigionata e interrogata, forse le fecero anche il waterboarding per farle confessare quello che avrebbero voluto sentirsi dire. Come dicevamo, Roma era afflitta dalla peste e siccome non c’erano i vaccini e neppure i no-vax, bisognava trovare un capro espiatorio, qualcuno con cui prendersela per sconfiggere il male. Quale bersaglio migliore se non una povera donna analfabeta che probabilmente si curava e lo faceva anche con gli altri, con le erbe, dal momento che non esisteva ancora la Tachipirina. Eccoci alla sera dell’otto luglio del 1426. Sulla Piazza del Campidoglio la folla sta fremendo in attesa che venga portata quella fattucchiera, quella strega, dalla quale dipendevano i mali di Roma, forse dello stesso intero mondo. Il fuoco è già alto e il calore che emana è amplificato dalla rovente estate romana. I multisala ancora non esistevano e i romani non avevano Netflix a casa, per tale motivo lo spettacolo di una donna arsa sul rogo, era un evento da non perdere. Finnicella arrivò e due ali di folla le fecero spazio insultandola per quelle colpe date per acclarate. Il fuoco arse il corpo e l’anima della donna, giustizia era fatta, ora la peste sarebbe stata debellata. Il sacrificio di Finnicella non servì, anzi la simpatica usanza di bruciare le donne sul rogo proseguì per secoli, come accadde a Giovanna D’Arco nel 1431. Oggi la Piazza del Campidoglio, completamente ricostruita dopo qualche anno da quel rogo, da un altro illustre toscano, Michelangelo Buonarroti, è occupata dalla sede del comune di Roma e le persone che salgono l’imponente scalinata forse neppure conoscono la storia di una donna arsa sul rogo in nome di credenze popolari, anche se in fondo in qualche parte del mondo si continuano a perpetrare delitti basati sull’ignoranza. Nella cultura popolare Finnicella è stata in qualche modo ricordata nella pellicola: Mia moglie è una strega del 1980.