Sono un cristiano cattolico ed a volte, pur non avendo pretese di convertire o di convincere nessuno ad abbracciare il mio credo, mi piace confrontarmi sulla religione. Spesso i miei amici di conversazione sono persone che esprimono molti dubbi, ma, al netto del fatto che anche io ne nutro alcuni, sono loro a dirmi di aver letto tutto ciò che c’era da sapere. Ora, io qualche studio sul tema l’ho fatto all’università e mi accorgo subito quando qualcuno ha letto qualche riga qua e là, oppure ha affrontato studi, almeno tanto approfonditi quanto i miei. La Bibbia è un testo affascinante, ma difficile da leggere, e, soprattutto da comprendere, e senza qualcuno che ci guidi per mano, posso tranquillamente dire che risulterebbe un’avventura impossibile da affrontare. Tanto per cominciare, per quello che riguarda noi cristiani, è suddivisa in due parti principali: il Vecchio Testamento ed il Nuovo Testamento, ovvero la storia del rapporto di Dio con il popolo ebraico e tutto ciò che riguarda la venuta di Cristo sulla terra (i quattro vangeli) con annesso la storia dei primi cristiani attraverso le pagine degli atti degli apostoli, delle lettere di Pietro, Giovanni, Giacomo e Paolo e l’apocalisse di Giovanni.
Il vecchio testamento è anch’esso suddiviso in “libri”, ognuno dei quali ha un titolo a sé, è stato scritto in una particolare epoca e da un proprio redattore in funzione di un determinato messaggio che si voleva far passare. I primi cinque libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio prendono il nome di Pentateuco, mentre per gli ebrei costituiscono la Torah.
Come ho già accennato prima, quando Cristianesimo ed Ebraismo presero vie diverse, ci si pose il problema di capire quali libri dovevano costituire il canone, ovvero quali tra in tanti che furono scritti dovevano essere considerati sacri e quali no. Gli ebrei della colonia alessandrina, all’incirca nel II secolo a.C., avendo perso i contatti con la madre patria in Israele a causa dei vari sconvolgimenti storici, chiesero che i testi sacri, che loro chiamavano Tanak, venissero tradotti dall’ebraico, lingua che facevano fatica a leggere, in greco. Nacque così la cosiddetta Bibbia dei settanta (LXX), che prende questo nome per via dei settanta maestri o rabbini che vennero incaricati di compiere questo immane compito. Verso la fine del I secolo d.C., alcuni rabbini farisei si riunirono in una città chiamata Jamnia e, per ovviare al disorientamento delle comunità giudaiche scosse dalla distruzione del Tempio sacro di Gerusalemme, avvenuto per mano dell’imperatore Tito, definirono l’elenco dei testi ammessi nella sacra raccolta. Destino diverso avvenne per la versione cristiana che dovette aspettare fino al 367 d.C., al termine di parecchie discussioni (se così possiamo chiamarle) e scambi di opinioni tra i vari padri della Chiesa, quando Attanasio di Alessandria fissò l’elenco definitivo dei testi che dovevano essere ammessi nella Bibbia. Di tale decisione fu informato Papa Damaso che incaricò San Gerolamo di produrre una traduzione in latino dal testo greco dei LXXII. Dopo lo scisma avvenuto per mano di Martin Lutero, il Concilio di Trento rimise mano al canone che già era stato modificato al termine dei concili di Basilea, Ferrara e Firenze (1431 – 1449), stabilendo, una volta per tutte, cosa era ammesso e cosa non lo era. Ecco in queste poche righe ho cercato di riassumere la storia di un testo che ha visto decine e decine di revisioni da parte di altrettante decine e decine di persone, per lo più rabbini, padri della Chiesa, santi, colti, religiosi che, se non ispirati direttamente da Dio, vivevano il loro rapporto con il Creatore in maniera profonda, a volte ponendo se stessi al limite delle proprie capacità fisiche e intellettuali, attraverso profonde preghiere, meditazioni, digiuni, confronti serrati che potevano anche portare a scontri verbali e fisici. Queste due versioni della Bibbia, non sono certamente le uniche, sono solo quelle principali, ne esistono anche altre che si allineano alle altre correnti, sia cristiane che ebraiche, sorte nel corso dei secoli, specialmente quando nel XVI secolo nacquero le chiese protestanti che ne adottarono versioni particolari. Nello specifico, la versione adottata dalla Chiesa anglicana prese il nome di Bibbia di Re Giacomo, proprio perché la traduzione fu richiesta dal Re Giacomo nel 1611. Tradurre un testo, specialmente come la Bibbia, è un compito ostico e particolarmente difficile perché un errore potrebbe portare a capire letteralmente fischi per fiaschi e se ripercorriamo il tragitto linguistico, partendo dall’aramaico passando per ebraico, greco, latino, inglese, ci rendiamo conto che il pericolo di cadere in trappole e fraintendimenti è costante e sempre presente.
Sfruttando questo particolare, un pastore protestante di San Francisco negli Stati Uniti ha proposto una sua versione dei testi biblici, partendo proprio da una traduzione della Bibbia di Re Giacomo antecedente al 1946, modificando alcune parti del testo per andare incontro alla comunità gay. In alcune parti della Bibbia e specialmente nel tanto vituperato (e mal compreso) libro del Levitico, si accenna al rifiuto dei rapporti omosessuali per cui, in questa versione definita gay friendly e ribattezzata la Bibbia della regina Giacomo, in riferimento alla nota bisessualità del sovrano inglese, i passi incriminati sono stati volutamente riadattati per non offendere nessuno e spalancare le porte a quel politicamente corretto che oggi, più che migliorare la società, la sta letteralmente uccidendo.
Il reverendo Carlton Pearson ha così motivato il suo lavoro: “I riferimenti antigay nella Bibbia si riducono a soli otto versetti nei quali l’omosessualità viene interpretata come peccato. In questa nuova versione affronto tali controversi passi, modificandoli leggermente per una maggiore chiarezza interpretativa”. Immaginatevi se un giorno dovesse arrivare un matematico che, per una maggiore chiarezza interpretativa, riscrivesse la teoria della relatività di Einstein per permettere agli ignoranti in matematica (come me) di poterla capire. Quale risultato otterrebbe?
Non fornisco una risposta a tale domanda, perché non voglio convincere nessuno sulla bontà o meno di questa manovra, ma mi permetto di dire che forse, dovremmo evitare di cambiare le cose, solo perché non siamo capaci di interpretarle e tanto più, se una cosa non ci piace, non dovremmo far passare l’idea che cambiare le parole di un testo sia la via più efficace per la sua comprensione. La Bibbia è un testo tutt’altro che facile ed affrontarlo, anche senza un percorso di fede, è compito arduo. Lo studio di un testo dovrebbe essere fatto con coscienza critica, evitando di farsi influenzare dalle proprie credenze o tendenze, qualsiasi esse siano proprio per evitare di trovarsi in disaccordo sentendosi obbligati a modificarlo per accondiscendere alle mode del momento. E questo vale per tutti, credenti ed atei.