foto di Silvia Meacci
Non risale a moltissimi anni fa la prima volta in cui ho letto il nome di questa pietanza su un menù. Tonno del Chianti? Improbabile! Ricordo ancora il leggero sbigottimento di cui ora non posso far altro che sorridere. Era estate. Seduti a un tavolo sotto un fresco pergolato con davanti a noi terrazze e terrazze di olivi. Finalmente la brezza della sera, lontani dalla calura fiorentina. Tutto era perfetto. Quando il mio compagno mi ha domandato se volessi il tonno del Chianti, ho risposto di no, subito e bruscamente, forse scrollando la testa. Non l’avevo mai assaggiato. Ho capito che non si trattava di vero tonno ma non sapevo cosa fosse e così non l’ho voluto provare nemmeno allorché lui, gustandolo, ne lodava la bontà. Quando si dice la diffidenza e l’ignoranza! Come da bambina. Avrò avuto sette anni. In occasione di una fiera paesana mio zio mi ha offerto delle fettine di cocco fresco. A vederlo mi pareva simile alla cipolla e a niente sono valse le rassicurazioni di tutti. Non l’ho voluto provare, come per il “tonno”, che ho saputo apprezzare solo successivamente.
È gustosissimo questo piatto “impostore”: fatto non di pesce, bensì di carne di maiale. In passato, grazie all’ingegno e all’arguzia toscane, le parti meno nobili che risultavano in eccesso dopo la lavorazione dell’animale o anche quelle pregiate, ma di suini macellati eccezionalmente in estate, erano ben sfrutttate: marinate, cotte nel vino e conservate sottolio per poter sfidare il passare del tempo. Molte ricette sono nate così, per necessità, per abbattere lo spreco. Negli anni cinquanta il tonno del Chianti ha visto un grande boom, oggigiorno, pur essendo considerato una prelibatezza, appare nei menù estivi di poche trattorie fiorentine. Il merito della riscoperta di questo piatto appetitoso si deve al macellaio di Panzano, Dario Cecchini, che in onore alla tradizione lo ha riportato in auge e quasi “reinventato”, dandogli il nome. Vi sembrerà di mangiare del vero tonno. Sia per l’aspetto che per la caratteristica consistenza sfilacciata ma al contempo morbida, come il tonno più friabile, quello da tagliare con il memorabile grissino. È servito con verdure fredde, capperi, fagioli toscani e sempre con la classica cipolla, sia cruda che caramellata. Realizzare questo piatto è semplicissimo. Si consiglia l’arista o la coscia, disossate. Si sala la carne, si fa marinare per tre giorni. L’idea era, ed è, quella di eliminare ogni batterio. Gli aromi utilizzati sono i classici toscani: alloro, ramerino, ginepro. Successivamente la si cuoce nel vino bianco, la si fa riposare a lungo, la si sgrassa e la si adagia in vasetti di vetro, intera o sfilacciata, sommersa dall’olio. Gli ingredienti principali per prepararlo sono tuttavia il tempo e la pazienza, beni di lusso nei nostri tempi. Buon appetito!