È una strage annunciata: ogni giorno dell’anno oltre tre persone escono di casa per recarsi al lavoro e la sera non tornano più perché vittime di infortuni mortali. Dalla povera lavoratrice di Prato, vittima della trascuratezza aziendale, ai morti di Brandizzo, a quelli dì Firenze, a quelli di Palermo, fino all’orrore dell’extracomunitario, lavoratore in nero, buttato, peggio di un cane, davanti alla sua casa con un braccio amputato, per citare i casi più eclatanti, è un vero stillicidio di vittime. Nei primi cinque mesi del 2024, secondo i dati Inail, le denunce d’infortunio con esito mortale sono state 369 (il 3,1 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), ma, solo nel primo bimestre, sono state 119 (il 24,7 per cento in più rispetto allo scorso anno) di cui 28 in itinere, per non parlare di quelle che hanno provocato infermità più o meno gravi.
Come porre rimedio a tutto questo? Non esistono forse leggi, regolamenti e manuali che tutelino il lavoratore durante lo svolgimento delle sue mansioni? La risposta, ovviamente, è sì: queste leggi esistono ed hanno la loro sintesi nel Decreto Legge 81 del 2008 che sancisce , una volta per tutte, i doveri e le responsabilità di tutta una serie di figure aziendali a cominciare dal datore di lavoro, che ha l’obbligo di predisporre tutti i dispositivi e le regole atte a prevenire incidenti ed il dovere di farle rispettare tramite il personale addetto, fino al lavoratore il cui obbligo, una volta debitamente addestrato, è quello di osservare scrupolosamente le disposizioni impartite, nonché quello di usare i dispositivi di protezione Individuali.
E allora perché tutto questo? La risposta è fin troppo scontata: ai casi di sfruttamento dei lavoratori, quali il caporalato ed i subappalti selvaggi, si aggiunge una mancanza generale di cultura della sicurezza. Si vedano in proposito i quasi quattro milioni di infortuni domestici, a cui si somma, talvolta, l’impunità di chi non ha applicato le normative stabilite dal D.L. di cui sopra.
Che fare dunque? Una soluzione a lungo termine è quella di promuovere la cultura della sicurezza già sui banchi di scuola. La Federazione Nazionale Maestri del Lavoro, a cui mi onoro di appartenere da 24 anni, composta da lavoratori insigniti della Stella al Merito, opera da anni nelle scuole primarie e secondarie per sensibilizzare i giovani sull’importanza della sicurezza sul lavoro. Questi interventi, realizzati in collaborazione con il Ministero del Lavoro, il Ministero dell’Istruzione e del Merito e dell’INAIL non sono destinati a formare tecnicamente, ma a far conoscere ai giovani gli aspetti generali e la legislazione vigente.
Il 26 giugno 2024 è stato rinnovato il Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’Istruzione e del Merito e la Federazione Maestri del Lavoro, mirato a favorire l’orientamento e la futura occupabilità degli studenti. Nel solo anno scolastico 2023/2024, in tutta Italia, oltre 108 mila studenti e più di 8500 docenti sono stati coinvolti in questa iniziativa. Nel partecipare alla formazione quale futuro volontario, ho avuto l’opportunità di assistere ad una lezione presso l’ITIS Galilei di Carrara; durante tale lezione, facente parte di un ciclo promosso dal Maestro Gino Piccini, ho potuto osservare l’attenzione e l’interesse degli studenti verso la cultura della sicurezza, un tema spesso ignorato, ma di fondamentale importanza. La promozione di questa cultura è un compito che richiede l’impegno di tutti: istituzioni, aziende, lavoratori ed educatori. I Maestri del Lavoro, per i quali le sfide non sono mai finite, grazie al recente protocollo continueranno ad operare volontariamente nelle scuole, mettendo a disposizione le loro esperienze pregresse, con l’obiettivo di ridurre costantemente gli incidenti sul lavoro, contribuendo così a creare un futuro più sicuro per tutti.