Sabato non siamo usciti per la solita escursione, perché sono arrivate le acciughe di Monterosso. Dovete infatti sapere che questo è il periodo migliore per metterle in salamoia, in quanto sono più grosse, belle “cicciotte”, insomma ideali per essere conservate. È una procedura che ho imparato negli anni settanta, quando lavoravo in quel di La Spezia, con delega alle Cinque Terre e che ho portato avanti fino agli anni pre-covid, poi più nulla; ma quest’anno ho voluto riprendere l’antica tradizione aiutato dal gruppo che mi supporta e mi accompagna nelle uscite settimanali. Ed eccole qui le nostre acciughe, belle, argentee e soprattutto freschissime. Procediamo alla loro pulizia e le poniamo in una capiente bacinella aspergendole di sale; qui dovranno restare un giorno per dar modo al sale stesso di prosciugarle.Nel frattempo che si fa?
Ho letto che nel mese di giugno è stato inaugurato un nuovo sentiero “Il Viottolo dei Briganti” ad opera dell’Associazione Resceto Vive con il patrocinio del CAI di Massa e allora, mentre le nostre acciughe dormono, perché non andare a dargli un’occhiata?
Così il mattino dopo, di buon’ora, risaliamo la valle del Frigido per deviare nella valle di Renara, superando lo sbarramento dei Vigili Urbani istituito per limitare l’eccesso degli automezzi dei bagnanti del fiume, che tanti problemi di traffico ha creato negli anni passati. Oggi siamo solo tre io, mia figlia Paola e la carissima amica Lisa, compagna di mille avventure; arriviamo a Resceto a quota 485, dove inizia il sentiero CAI n° 35, altrimenti noto come Via Vandelli, e pioviggina; un attimo di esitazione e poi ci incamminiamo con la speranza che il tempo migliorerà.
La strada, asfaltata per un breve tratto, diventa a tutti gli effetti una via di cava comoda ed in leggera salita; a 500 metri dalla partenza sulla sinistra si stacca il sentiero CAI 170 per la Foce della Vettolina e trecento metri più avanti alla Cà del Fondo, una piccola costruzione recentemente risistemata. La Vandelli, interamente costruita con la tecnica dei muri a secco, comincia a salire in modo impegnativo con una serie di ripidi tornanti; a 1200 metri si staccano i sentieri CAI n° 160 e 160 A, due vie di lizza: Silvia o Padulello e Magnani, dalle pendenze impressionanti che, seguendo diversi itinerari, portano al Bivacco Aronte ed al passo della Focolaccia a 1642 metri di quota. Proseguiamo e poco più avanti, oltrepassato un ponte di ferro che permette di superare il Canal Pianone continuiamo a salire fino alla località Le Teste, così detta per i tre teschi appesi alla parte di roccia quale monito per i briganti che un tempo sembra fossero soliti depredare i malcapitati viandanti per poi fuggire nei boschi circostanti.
La pioggia ha smesso di cadere, ci liberiamo delle ingombranti mantelle e proseguiamo ancora per un paio di tornanti fino ad incontrare, ad un’ora e mezza dalla partenza, il cartello che indica il Viottolo a quota 880; questo ci porterà ad incontrare il sentiero CAI n°163 e quindi alla miniera del ferro. Senza esitare e spinti dalla curiosità di percorrere una nuova via ci incamminiamo lungo quella che è poco più di una traccia, comunque ben segnalata., che immediatamente s’inerpica in un fitto bosco di carpini e faggi.
Mi sento un inutilmente responsabile per quelle due fanciulle che salgono come agili gazzelle, soffermandosi ogni tanto ad aspettare premurosamente il vecchio muflone, io, che arranca con fatica; è bello salire con loro che si stupiscono per la bellezza dell’arancio del giglio di San Giovanni, il bianco delle margherite, il viola dei cardi ed il giallo delle ginestre; ogni passo, ancorché faticoso, è una scoperta e mostra evidente il lavoro che i volontari hanno dovuto fare per permetterci di godere di questa immersione totale nella natura.
Ogni tanto un piccolo tratto esposto, sempre ben attrezzato con funi o gradini piantati nella roccia viva, ci dà un pizzico di emozione in più; continuiamo a salire nel bosco sotto un cielo nuvoloso ma clemente fino a quota 1200 dove incontriamo un breve falsopiano ed una rapida discesa che ci porta in un canalone per accedere al quale occorre scivolare col sedere su una roccia piatta. Risaliamo il canalone, fortunatamente asciutto, inerpicandoci con passaggi divertenti fra le grosse rocce che la furia delle acque ha fatto precipitare dalla montagna che ci sovrasta, il monte Focoletta; alcune rocce intrise di magnetite ci fanno capire che siamo vicini alla meta ed infatti, dopo un ultimo sforzo, incontriamo il sentiero 163.
Ora ci è chiaro anche il nome del Viottolo; infatti chi avrebbe mai potuto inseguire i briganti in queste zone tanto imervie e sconosciute?
Pieghiamo a destra e dopo un breve falsopiano eccoci all’imboccatura della miniera del ferro a quota 1320; ci guardiamo bene dal penetrare nel ventre del monte per lo stillicidio d’acqua che cola dal soffitto e dalle pareti scavate nella roccia ed in pochi minuti, ancora un ulteriore passaggio esposto attrezzato con fune, ritroviamo, dopo un paio d’ore di cammino, la via Vandelli.
A questo punto l’escursione potrebbe dirsi conclusa ma, arrivati fin qui, non vogliamo fare un salto fino alla Finestra? Certo che sì; ed allora via si riparte fino a quota 1442 dove giungiamo dopo quattro ore di cammino dalla partenza. Una brezza freddina ci accoglie costringendoci ad indossare indumenti più appropriati e finalmente si mangia!
Un riposino ad ammirare i Campaniletti, pinnacoli di roccia che sembrano salire dal nulla, e la lizza delle cave Gruzze che precipita dal monte Sella proprio di fronte a noi; un salto al rifugio Nello Conti per un veloce caffè ed eccoci sulla via del ritorno. Non c’è niente da fare, i quattro chilometri sulle pietre della Via Vandelli tanto belli da salire in discesa sono, come sempre, un vero e proprio martirio per le mie gambe; arrivato alla macchina e tolti gli scarponi mi sembra di toccare il cielo con un dito.
Anche oggi sono dieci chilometri, sei ore di cammino e mille metri di dislivello; è stata dura, ma sono contento. Ora, a casa, mi aspettano le acciughe da impilare con cura dentro le albanelle di vetro e ricoprire con la salamoia; fra trenta giorni saranno le regine delle nostre “marende sinoire” e della “Bagna caoda” (rammento che la o si legge u) tipica salsa piemontese a base appunto di acciughe, abbondante aglio, olio e latte da consumare bollente intingendovi le più svariate verdure in allegra compagnia nelle fredde sere d’inverno.