Oggi raccontiamo la vita e le opere dell’uomo che mise in discussione Macchiavelli. Andiamo con ordine. Scipione Ammirato nacque casualmente a Lecce il 7 ottobre del 1531 da una nobile famiglia di origine toscana. Fu avviato dal padre agli studi di diritto a Napoli, ma Scipione era attratto dagli studi umanistici. Frequentò gli ambienti letterari partenopei, conobbe Bernardino Rota, Angelo di Costanzo e Bartolomeo Maranta. Decise di intraprendere la carriera ecclesiastica e risedette a Venezia, dove divenne segretario del patrizio veneto Alessandro Contarini. In quel periodo entrò in contatto con Pietro Aretino e Girolamo Ruscelli, con il quale curò un’edizione dell’Orlando Furioso. Lasciò Venezia e si recò a Roma nel 1556, dove entrò in servizio del Papa Pio IV. Scipione Ammirato tornò a Lecce nel 1558 e fondò, insieme a Pompeo Paladini, l’Accademia dei Trasformati, di ispirazione platonica. Si diede allo studio dello stesso Platone e compose nel 1560 Il dedalione o ver del poeta, un dialogo dedicato a Seripando. Nell’opera Scipione affrontò la domanda comune ai teorici: in quale campo della filosofia si doveva classificare la poesia. Ammirato assegnò alla poesia il campo della filosofia civile. Le opere di Scipione Ammirato iniziarono a essere famose in tutta Italia, tuttavia non gli permisero di ottenere la carica di storiografo regio a Napoli, per cui, deluso, nel 1569 si trasferì a Firenze, anche perché il richiamo del sangue toscano fu più forte di qualsiasi altro legame. Il granduca Cosimo I de’ Medici lo accolse presso la Villa La Topaia e gli commissionò la stesura delle Istorie fiorentine nelle quali confutò le Istorie di Machiavelli contestandone l’impostazione dispersiva e le numerose inesattezze. Scipione Ammirato frequentò l’Accademia degli Alterati di Giovan Battista Strozzi che lo proclamò “principe degli storici del suo secolo”. Raccontò la sua esperienza a Napoli nell’opera Famiglie napoletane, che gli procurò grande notorietà e apprezzamenti. Tornando alla confutazione della dottrina machiavellica, Scipione Ammirato elaborò il suo lavoro basandosi sull’opera di Tacito. Fu allora che scrisse la sua visione della ragione di Stato, riferendosi al già citato Tacito, a Tiberio e Caligola, che fece dialogare al fine di narrare le sue idee e distruggere i preconcetti di origine machiavellica. Scipione Ammirato, grazie a quegli studi, si avvicinò e perfezionò la conoscenza di Tacito che, da grande storico della Roma antica, aveva narrato con cura i principi del governo dell’impero romano. Divenne un elemento importante dell’Accademia degli Alterati e grazie alle sue opere sulle famiglie napoletane e fiorentine, gli arrivarono decine di richieste anche da parte dei vari regni dell’epoca. Il re Enrico II di Francia, Filippo II di Spagna, i papi Clemente VIII e Sisto V, oltre alla dinastia dei Medici, gli chiesero di raccontare le famiglie e la storia dei lori paesi, dei loro regni. La ricerca e la cultura di Scipione Ammirato si ampliarono con gli studi dei classici. Le opere di Livio, Cesare, Cassio Dione, Plutarco, Cicerone, Platone e Senofonte, furono propedeutici per la stesura dei Discorsi. Nell’opera, Scipione Ammirato sostiene la ragione di Stato come “altro non essere che contravvenzione di ragione ordinaria per rispetto di pubblico beneficio, ovvero per rispetto di maggiore e più universale ragione”. Ammirato riteneva che il monarca o il reggente dello Stato fosse provvisto di una plenitudo potestatis, quindi consapevole dei propri diritti ma altresì dei doveri. Scipione Ammirato era fautore della dominations flagitia, una ragione di Stato non arbitraria, ma bensì rispettosa del bene generale e tesa a limitare i privilegi e gli eccessi, mi sembra molto attuale e applicabile con i moderni governi mondiali. I discorsi di Scipione Ammirato ottennero un grande successo e una rilevanza di portata internazionale. Furono salutati come libro salutifero dalla granduchessa di Toscana e il granduca asserì di averne tratto frutto e aiuto per il suo governo. Scipione Ammirato fu un fautore della molteplicità degli Stati e contro l’unificazione dell’Italia, in quanto credeva che un eventuale invasore avrebbe avuto un buon gioco contro un unico nemico che contro molti e diversificati difensori del suolo italico. A tal proposito, scrisse, nelle orazioni a Sisto V, il suo timore per una possibile invasione musulmana nel suo discorso: Che dà progressi del Turco si vede che vuol farsi signore d’Italia. Scipione Ammirato divenne canonico nel 1595 e continuò a raccontare delle famiglie fiorentine da Cosimo I de’ Medici a Francesco I, fino a Ferdinando I, che regnava su Firenze e il granducato, quando Scipione Ammirato morì l’11 gennaio del 1601. Nello stesso giorno venne sepolto in Santa Maria del Fiore a Firenze, dove tuttora riposa, nella sua Toscana che l’aveva abbracciato e fatto assurgere a maestro del pensiero.