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Diari Toscani

Giornale di cultura, viaggi, enogastronomia e società

Panzanella: burle, facezie e cipolle

DiSilvia Meacci

Lug 3, 2024

A  seconda delle zone geografiche e delle massaie,  la panzanella ha le proprie varianti. Io la preparo nelle estati afose fiorentine. È fresca, appagante. È sensuale spremere e strizzare il pane bagnato, ridargli vita e mescolarlo ai cetrioli, ai pomodori e alla cipolla. I colori, i sapori e le consistenze, morbide e turgide, si fondono. Condisco con sale, olio, aceto e profumo con “l’erba del re”, vale a dire il basilico, considerato in passato magico, quasi diabolico e utile a risollevare lo sconforto. E se si versano delle lacrime durante il taglio delle cipolle, subito trionfa il sorriso pensando all’origine della parola “panzanella”.  Che giri fanno i lemmi nel corso della storia! Il nome deriva forse da pan-zanella, considerando che una zanella è la zuppiera? O forse è l’anagramma di “zampanella” crespella molto sottile da cui nasce il borlengo, specialità di Guiglia, in Emilia? Più accreditata tra tutte è l’origine da “panzana” che significava una pappa, probabilmente dal verbo del latino volgare pactiare, comprimere’, derivato di pactum, secolo XVI°, participio passato di pangere, ‘conficcare’. Sappiamo che in  senso figurato “raccontar panzane” significa dire fandonie. Facile intuire che ispirandosi al “cibo raffazzonato con pane vecchio, di scarso valore”, si sia passati a “bugia che si rifila, poco affidabile”. Pure l’etimologia del “borlengo” , di cui si hanno notizie già nel 1266, fa risalire il termine a “burla”, interessante, no?