Chissà quante volte avete ammirato le opere di Botticelli e vi siete chiesti chi fosse quella donna così meravigliosamente eterea da raffigurare una dea. Ebbene, da ciò che arriva ai nostri giorni tramite tradizioni orali e scritti, sappiamo che è Simonetta Vespucci. Nacque con il cognome di Cattaneo da una nobile famiglia genovese, qualcuno dice a Genova, altri più giustamente e romanticamente a Portovenere, non avrebbe potuto essere in nessun altro luogo, nel gennaio del 1453. Simonetta Cattaneo fu presto promessa sposa al giovane Marco Vespucci, lontanamente imparentato con il navigatore Amerigo, del quale abbiamo già narrato le gesta. Simonetta visse a Fezzano di Portovenere fino all’età di sei anni, insieme alla madre e alla sorella, che la genitrice aveva avuto da un precedente matrimonio con Battista Fregoso, che morì nel 1442. La ragazza rimase ospite dal signore di Piombino, Jacopo III Appiano, fino al 1468. Fu nel 1469 che si celebrò il matrimonio tra Simonetta Cattaneo e Marco Vespucci. Dopo essersi sposati, si trasferirono a Firenze, anche se Marco si recò spesso a Genova per studiare gli ordinamenti del Banco di San Giorgio, spinto dal padre Piero che cercava protezione dei Cattaneo, molto legati ai Medici. Nello stesso periodo divenne capo della Repubblica fiorentina, Lorenzo de’ Medici, il Magnifico. Lorenzo accolse gli sposi nel palazzo di famiglia e furono anni intensi di feste e ricevimenti. La bellezza di Simonetta folgorò lo stesso Lorenzo che la elesse a musa degli artisti della corte medicea e dello stesso Magnifico che le dedicò le Selve d’Amore, un omaggio alla donna angelicata in forma dantesca. Nel 1473 giunse a Firenze Eleonora d’Aragona, insieme al fratello Alfonso duca di Calabria che era l’erede designato al Regno di Napoli. Eleonora si stava recando a Ferrara per convolare a nozze con Ercole I d’Este. Ciò che accadde è arrivato a noi con racconti dell’epoca che narrano di Alfonso perdutamente innamorato di Simonetta, che ricambiò con un amore platonico, sentimento che in ogni caso fu propedeutico per Lorenzo de’Medici che strinse un’alleanza con il Regno di Napoli, determinante nello scacchiere del potere in quel tempo. Il culmine della notorietà di Simonetta, che possiamo definire la più importante influencer di quegli anni, si raggiunse nel 1475. Si svolse un torneo cavalleresco in piazza Santa Croce, denominato: Torneo di Giuliano, in onore di Giuliano de’Medici, un altro ammiratore della nostra Simonetta. Angelo Poliziano narrò l’accaduto nel poemetto: Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici e descrisse che Giuliano dedicò la vittoria a Simonetta presente tra il pubblico e portò uno stendardo raffigurante la donna dipinto da uno abbastanza bravo, Sandro Botticelli. L’opera raffigurava Simonetta nei panni allegorici di Venere-Minerva con ai piedi Cupido e il motto La sans par, cioè la senza pari, la donna unica. Come nella canzone di Marinella, Simonetta Vespucci visse poco come tutte le più belle cose, come le rose. Morì il 26 aprile del 1476 a soli ventitré anni. All’epoca si disse che era stata la tisi a togliere la vita alla giovane donna, oggi nuove ipotesi ci suggeriscono che fosse affetta da adenoma ipofisario e ormone della crescita, in poche parole un tumore che la portò via in pochi mesi. Il giorno seguente la bara contenente le spoglie di Simonetta attraversarono Firenze. Il feretro era scoperto e la donna era vestita di bianco, il popolo poté ammirarla per l’ultima volta. Questa storia potrebbe finire qui con il racconto che ha segnato la sua epoca. Poi arrivarono le opere di Piero di Cosimo che la ritrasse come Cleopatra e soprattutto Sandro Botticelli nel suo Ritratto di giovane donna, in Pallade e il centauro, nella Primavera e nella Nascita di Venere che ha attraversato i secoli e ci osserva con il suo sguardo intenso e malinconico, presente e assente, un capolavoro senza età, come la Dea scesa in terra, come una Venere, come era Simonetta Vespucci.
«O chiara stella che co’ raggi tuoi
togli alle vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?
Perché con Febo ancor conteder vuoi?
Forse i belli occhi, quali hai tolto a noi
morte crudel, che ormai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del loro nume,
il suo bel carro a Phebo chieder puoi.
O questo o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
chiamata essaudi, o nume, i voti nostri:
leva dello splendor tuo tanta via,
che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo,
senza altra offension lieta ti mosti.
Lorenzo de’ Medici