Amsterdam, lasciatemelo dire, è una città bellissima. La chiamano la Venezia del nord, ma io non ci trovo nessuna somiglianza, a parte i canali che sono comunque tutt’altra cosa rispetto ai rii veneziani; questi ultimi corrono in un’atmosfera silente fra case dalle fondamenta fatiscenti, mentre qui sono ampi, alberati e lungo le loro sponde, attrezzate in gran parte a piste ciclabili, si vive un’atmosfera piena di vita, in un melting pot di etnie diverse che hanno trovato in questa città accoglienza e possibilità di lavoro dignitoso. Dice: ma alla tua età vai a fare il turista ad Amsterdam, città nota per i famigerati quartieri a luci rosse? In effetti l’idea non mi sfiora neppure l’anticamera del cervello, perché qui mi porta il cuore di nonno…Eh sì, perché ci abita la mia prima nipote Gaia che, dopo aver fatto ad Amsterdam uno stage di un anno presso una famosa casa di moda ed essersi brillantemente laureata al Politecnico di Milano in Design for the Fashion System, ha subito trovato lavoro e si sta costruendo il futuro.
Parto da Pisa e dopo un paio d’ore di volo alquanto ballerino arrivo all’aeroporto di Schiphol; mi avvio verso l’uscita per prendere un taxi, in un pomeriggio freddo ed uggioso, quando, del tutto inaspettata, vedo il mio sole fra la folla: Gaia, che non ha saputo resistere ed è venuta ad accogliermi con un lungo abbraccio. Ci avviamo e dopo una mezz’ora eccoci alla sua casa.
È un bell’appartamento, un po’ bohemien, al quarto ed ultimo piano di un lungo palazzo, con una bella vista che dà su un canale, da un lato, mentre dall’altro, si affaccia su un bel parco alberato; non c’è ascensore, come in quasi tutte le case della città vecchia, e per arrivarci bisogna salire quattro rampe di scale ripidissime e strette che però, grazie alle mie frequenti escursioni in montagna, riesco a scalare, è il caso di dirlo, senza grosse difficoltà.
Mi sorge una domanda: ma come facevano gli olandesi a portare i mobili su quelle scale così anguste, quando ancora non c’erano i moderni saliscendi esterni che oggi usano le ditte di traslochi?
La risposta arriva appena entrato in casa: infatti dal colmo del tetto, come da tutti gli altri che vedrò in questi giorni, sporge una robusta trave munita di un gancio sul quale veniva fissata una carrucola che permetteva, con una fune, di sollevare ai vari piani il mobilio più ingombrante.
Dopo un breve riposo decidiamo di uscire. Premetto che Amsterdam ha decine di musei, i più importanti dei quali, peraltro, già visitati in una precedente occasione, ed infiniti luoghi interessanti da vedere, ma in questi giorni, tempo permettendo, decidiamo di dedicare tutto il tempo a noi, bighellonando a spasso per immergerci in quell’atmosfera cosmopolita che permea le strade ed i canali della città vecchia.
Il traffico automobilistico è praticamente inesistente, anche se le macchine parcheggiate sono molte per cui l’unica attenzione va posta nel non invadere le piste ciclabili dove sfrecciano silenziose e di continuo persone di tutte le età sulle loro due ruote.
Camminiamo fianco a fianco, parlottando delle nostre cose come si faceva quando era bambina, nelle stradine sulle quali si affacciano innumerevoli negozi, bar, ristoranti e pasticcerie, tutti pieni di gente dall’aria rilassata; davanti ad una di queste, che è poi un buchetto dove si fanno solo squisiti croissant di varie forme e sapori, c’è una coda di persone che attende pazientemente il proprio turno, aspettando, a volte, anche un’ora per uscire con un croissant profumato e caldo da consumare per strada visto che all’interno ci sono solo tre tavoli.
Osservo le centinaia di macchine parcheggiate, in gran parte francesi e tedesche, elettriche e non, mentre quelle italiane sono delle vere mosche bianche; in quattro giorni ho visto solo alcune 500, una vecchia Y10, una Giulietta ed una gloriosa Panda degli anni ottanta.
Gaia, nel vedere il mio disappunto, ride e piuttosto mi fa notare come la gran parte delle case, specie quelle che danno sui canali, non siano proprio verticali ma pendano un po’ da tutte le parti; del resto anche il pavimento di casa sua pende abbastanza sensibilmente. Ciò è dovuto all’instabilità del terreno sottostante che costringe, quando le inclinazioni diventano pericolose, a costosi lavori di risanamento delle fondazioni.
Andiamo a cena in un ristorante dove abbiamo una prenotazione. In questa città sperare di trovare un tavolo, se non si è prenotato è praticamente impossibile. Lo chef è italiano ed amico e, in attesa che si liberi il nostro tavolo, ci offre come aperitivo un vino bianco biologico che va per la maggiore. Curioso assaggio questo vino, fresco sì, ma dall’aspetto un po’ torbido e dal gusto aspro che non soddisfa per niente il mio palato, mentre tutti lo bevono con gusto, Gaia compresa. Che si sia già così integrata?
L’ottima cena è, inutile dirlo, a base di piatti italiani che qui, ormai, dettano legge come specialità culinario gastronomiche. Continuando a bighellonare nei giorni successivi incontriamo nei negozi e nei bar tante ragazze e ragazzi italiani che hanno trovato qui lavoro dignitoso e ben pagato.
Siamo ormai a sabato, domani la vacanza sarà finita ed allora, visto anche il maltempo che non accenna a migliorare, decidiamo di cenare in casa alla grande: lasagne verdi al ragù. Usciamo per comperare il necessario, in particolare la farina di semola indispensabile per fare la pasta; andiamo da un amico romano che vende prodotti italiani in un bel negozio, ma ne è momentaneamente sprovvisto però, molto gentilmente, ci indica dove possiamo trovarla. Attraversiamo così un variopinto mercato, che si tiene settimanalmente, con le merci ben esposte sulle bancarelle, in particolare abbondano i fiori e Gaia acquista per pochi euro un enorme fascio di ranuncoli che abbelliranno la sua casa. Facciamo appena in tempo a rientrare che ricomincia a piovere; due spaghetti con pommarola per pranzo, un riposino e si comincia a preparare per la cena alla quale sono invitate anche tre amiche italiane.
Il lavoro è lungo, ma l’atmosfera è quella di una volta quando la domenica mattina si impastava e la mia adorata moglie addobbava le nipoti con lunghi grembiuli facendo loro mettere “le mani in pasta”; fra una battuta ed un ricordo Gaia mi fa ascoltare una play list da lei compilata che contiene tutte le canzoni che cantavamo assieme fin da quando era bambina: Beatles, Ray Charles, Battisti, Conte, Dalla, De André ,De Gregori fino alle note vibrate e struggenti del sax soprano di Sidney Bechet in “Si tu vois ma mere”; non me lo aspettavo e qui va a finire che mi commuovo davvero.
Arriva sera e tutto è pronto; il ragù ha “pippiato” tutto il pomeriggio e le lasagne sono uno spettacolo! Arrivano le amiche e, dopo i convenevoli del caso, comincia la cena innaffiata con Cirò, Dolcetto e Bardolino; le lasagne sono un successo, al punto che tutte fanno il bis.Sono tutte ragazze in gamba, le osservo mentre parlano delle loro esperienze, delle possibilità di carriera che qui vengono offerte, delle difficoltà del clima invernale e del malcelato desiderio di tornare in Italia in un futuro, a patto di trovare condizioni economiche confacenti alle loro esperienze acquisite
E allora penso: in che razza di paese viviamo, noi, in Italia? Alleviamo i nostri giovani, la meglio gioventù, spendendo quattrini per portarli a gradi di eccellenza e poi, per essere valorizzati, devono andare all’estero dove vengono accolti invece a braccia aperte perché si ritrovano, gratis, giovani formati da introdurre subito nel loro sistema economico industriale. Poi dice che il paese invecchia, per forza, anche i loro figli nasceranno all’estero! Il problema vero è che, parafrasando un vecchio aforisma, da noi non ci sono più statisti che pensano alle future generazioni ma solamente politici che pensano alle prossime elezioni. Bando a questo momento di rabbia e tristezza; la cena si conclude bene con baci, abbracci e la promessa di rivederci alla prossima.
Arriva il giorno della partenza, inevitabilmente un po’ triste; passeggiamo ancora un poco per le belle strade sotto un timido sole che, come al solito, ben presto sparisce e ricomincia la pioggia. Gaia mi accompagna in aeroporto dove, con un po’ di magone, ci abbracciamo forte forte e ci salutiamo.
Amsterdam non ti libererai facilmente di me!