Che differenza esiste tra fiaba e favola? Sono due tipi di componimenti simili e se veramente vogliamo spaccare il capello in due, possiamo per un attimo esaminarle così come ci vengono tecnicamente descritte su tutti i libri di antologia: “La fiaba è una narrazione originaria della tradizione popolare, caratterizzata da racconti medio-brevi e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici (fate, orchi, giganti e così via) coinvolti in storie aventi, a volte, un sottinteso intento formativo o di crescita morale… la favola, basata su canoni realistici, è un componimento estremamente corto, in genere della durata di poche righe, con protagonisti animali dal comportamento antropomorfizzato o esseri inanimati. La trama della favola è condensata in avvenimenti semplici e veloci e, infine, l’intento allegorico e morale è molto esplicito, a volte indicato dall’autore stesso come postilla al testo. Nella fiaba, invece, troviamo la presenza dell’elemento fantastico e magico. È diffusa l’opinione per cui le fiabe siano tradizionalmente pensate per intrattenere i bambini, ma non è del tutto corretto: esse venivano narrate anche mentre si svolgevano lavori comuni, per esempio la filatura, lavori fatti di gesti sapienti, ma in qualche modo automatici, che non impegnavano particolarmente la mente…Le fiabe erano piacevoli momenti per chiunque e, davanti al fuoco, erano gradite sia dagli adulti che dai bambini di entrambi i sessi.”
Insomma piacevano un po’ a tutti, duravano poco e mischiavano elementi reali ad altri fantastici ed avevano una missione morale. All’interno di questa cornice possiamo anche inquadrare la filastrocca che è un componimento ancora più semplice e breve, destinato per lo più a bambini, composto da rime abbastanza semplici da ricordare. Tutti questi elementi si possono ritrovare nelle storie popolari, tesoro di ogni ambiente e tradizione locale. La Lunigiana non è da meno e, girando per librerie o per banchi di rivenditori ambulanti, è facile trovare raccolte più o meno datate di brevi racconti popolari che, col passare del tempo rischiano di finire nel dimenticatoio. Proprio alcuni gironi fa ne ho scovata una dalla quale estraggo una storiella curiosa che vi racconto così come è stata riportata nel libro “Storie e filastrocche di Lunigiana” a cura di Caterina Rapetti, Tarka editore, raccolta nel territorio dell’Arpiola di Mulazzo.
“Tanto tempo fa, in un castello, c’era un re che, per ottenere tutto, aveva fatto un patto con il diavolo: doveva dare il suo primogenito a Satana. Quando giunse però il momento di consegnare il figlio al diavolo, per cercare di impedirlo, si erano riuniti alla corte tutti gli amici del re. San Martino, passando di lì, pensò di chiedere asilo al castello e, vedendo tutta quella gente, domandò cosa fosse successo. Quando seppe il motivo, chiese di potersi fermare per la notte, ma gli risposero che non c’era posto, soprattutto per un povero mendicante come lui. Il Santo insistette dicendo che si accontentava di un angolo dietro la porta, perciò gli fu dato il permesso di fermarsi. Arrivò la mezzanotte; si sentì per la prima volta bussare e San Martino rispose: “Uno: sopra a Dio non c’è nessuno”. La seconda volta San Martino rispose: “Due: la luna e il sole, chi ha creato il mondo è stato nostro Signore”. La terza volta: “Tre: i Re Magi. Due: la luna e il sole, chi ha creato il mondo è stato nostro Signore. Uno: sopra Dio non c’è nessuno”. La quarta volta: “Quattro: gli evangelisti…”. La quinta volta: “Cinque: le piaghe del Signore…”. La sesta volta: “Sei: le gambe di Galilea. La settima volta: “Sette: i raggi della Madonna…”. L’ottava volta: “Otto: le porte di Roma…”. La nona volta: “Nove: i cori degli angeli…”. La decima volta: “Dieci: i comandamenti…”. L’undicesima volta: “Undici: le verginelle…”. La dodicesima volta: “Dodici: gli apostoli…”. La tredicesima volta: “Tredici: a tredici non ci posso arrivare…, ma che tutti i diavoli come te possano crepare!”. A questo punto il diavolo arrabbiato rispose:
Martin Martlet,
non mai fat na bugadella
che te gh’è mis al te strazet.
Il diavolo se ne andò via tra fuoco e fiamme e S. Martino fu portato in trionfo.
Che il soggetto di questa leggenda popolare sia San Martino non è del tutto casuale: la storia del santo, soldato romano, che incontrando un mendicante tagliò il suo mantello in due, donandogliene una metà è assai nota. Per un soldato o per un cittadino qualsiasi, il mantello aveva un gran valore perché costituiva gran parte, forse la più importante, del suo vestiario, per cui donarlo a chi non aveva nulla assumeva un enorme gesto di carità. Martino, chiamato così in onore del dio Marte, a seguito di quel gesto verrà visitato in sogno da Gesù stesso, che lo condurrà sulla strada della conversione e poi del monachesimo. Col passare del tempo diventerà un grande evangelizzatore, fondatore di una comunità monastica, anche se gli ordini monastici veri e propri nasceranno qualche secolo più tardi con San Benedetto. Santo instancabile, viaggiò in lungo ed in largo, diffondendo il vangelo, compiendo miracoli senza risparmiare energie e stando alla sua agiografia, senza paura di confrontarsi con ogni mezzo contro i delatori del cristianesimo o contro l’eresia più famosa dell’epoca, quella dell’arianesimo. San Martino godeva di così larga fama che prima di San Francesco, era considerato il santo di riferimento per eccellenza, ne sono prova un ciclo di affreschi sulla sua vita in una cappella nella chiesa inferiore della Basilica di San Francesco ad Assisi. In moltissime città d’Italia è il santo patrono, a lui sono dedicate feste, rievocazioni, tradizioni che riportano al passaggio delle stagioni, alla segnatura dei contratti, alle normali funzioni civili dell’ambiente quotidiano. Nel nord della Toscana e nella vicina Liguria esiste una devozione molto forte ed in Lunigiana e dintorni, è ricordato in particolare modo a Castevoli nel massese, Follo e Biassa nello spezzino, Pietrasanta in Versilia e guarda caso a Mulazzo in Lunigiana.
Ecco allora che fiabe, favole e filastrocche servivano a far passare, di generazione in generazione, il culto e la devozione di un popolo al proprio santo di riferimento, inserendolo a volte in contesti del tutto immaginari che comunque lo vedono vincitore sulla furbizia di un diavolo che incarna tutti i mali della società di allora e di oggi. La fiaba come collante di una società che pur senza Facebook o Tiktok trovava il modo, con l’uso della fantasia e del racconto, di restare unita nella speranza di un futuro migliore.