foto di Silvia Meacci
All’interno del più antico palazzo pubblico fiorentino, scrigno di capolavori di artisti come Donatello, Della Robbia, Michelangelo e Cellini, sono state riallestite due importanti sale. Contengono rispettivamente maioliche e reperti islamici provenienti dall’epoca medicea, da donazioni o da acquisizioni recenti. Tante le competenze e le eccellenze che si sono prodigate per la ristrutturazione. I lavori sono stati curati dallo studio di architettura Guicciardini & Magni e finanziati grazie al Piano Strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” del Ministero della Cultura. Tutto parte da un progetto di ricerca, di cura, di conoscenza, perché la tutela del patrimonio culturale senza studio e valorizzazione, senza restauro e soprattutto senza un’attenzione all’accessibilità, non può esistere. Sin dal 1865, anno in cui ha aperto, il Bargello, primo museo dell’Italia Unita, ha posto molto riguardo alle arti decorative e alla scultura medievale e rinascimentale, consolidando una tradizione di importanti donazioni che continua tutt’oggi.
La Sala delle maioliche è di per sé un trionfo di opere scintillanti. Grazie al nuovo sistema d’illuminazione vengono maggiormente valorizzati gli oltre 400 pezzi esposti, selezionati tra i mille di proprietà del museo. Sulle pareti perimetrali si possono ammirare vetrine con maioliche, ceramiche graffite e mattonelle che spaziano dal XIII fino al XX secolo. È meraviglioso immaginarsi scene domestiche e quotidiane ammirando piatti, boccali, rinfrescatoi, mescirobe. Al centro della sala trionfano i manufatti superstiti della raccolta dei Medici. Sono collocati su pannelli trasparenti, tanto da poter essere ammirati davanti e dietro. Tra tutti risaltano un medaglione con il profilo di Francesco I de’ Medici e un bacile con figura di San Giovanni in porcellana medicea, ad imitazione della porcellana cinese.
La Sala islamica è chiaroscurale, la luce è bassa al fine di conservare gli oggetti esposti, comunque valorizzati da faretti puntuali. I cinquecento supporti per le opere sono fissati con potenti calamite, le teche sono ad alta tecnologia, antiriflesso, con filtri per l’aria, a tenuta di polvere e umidità. Preziosa la selezione di metalli, avori, tessili e ceramiche derivanti dai preziosi lasciti dell’antiquario Louis Carrand e del barone Franchetti che andarono ad arricchire l’originale nucleo mediceo.
Collezionare oggetti di provenienza islamica era infatti diffuso tra i Medici già nel XV secolo. Tra quelli esposti destano parecchio interesse la coppa rituale, vale a dire una coppa “magica” con riportati sopra numeri, invocazioni e pezzi di Corano, la brigantina regalata a Lorenzo de’ Medici, ossia una leggera armatura da busto che, vista l’usura, verosimilmente lui indossò e la lastra che sostanzialmente riporta i dati della costruzione di una moschea, conservata dai granduchi, segno di apprezzamento genuino della bella scrittura e dell’arte islamica.
Curioso il pezzo di scacchi iracheno del X secolo, a forma di elefantino. Appassionante riflettere sull’etimologia della parola “alfiere”, il pezzo leggero degli scacchi. Deriva da “al-fil” che in arabo e persiano significa “l’elefante”, dato che in Medio Oriente questo pezzo era rappresentato dal pachiderma. Solo dopo la venuta dell’Islam, gli arabi stilizzarono la figura dell’elefante, ottenendo un cilindro stondato, con un taglio centrale che raffigurava le zampe. Da tale forma a campana derivò a sua volta la mitria vescovile. Alfiere in inglese si dice “bishop”: il “vescovo”. Interessante!