Oggi non tutti i componenti del gruppo sono particolarmente in palla e allora: che fare? Rimandiamo la solita escursione settimanale? Ma nemmeno per sogno! Scegliamo però un itinerario più consono alle condizioni attuali: l’anello di Casania, una bella escursione classificata per EE, non molto lunga, circa cinque chilometri, con un modesto dislivello di 450 metri da percorrere comodamente in tre ore, non considerando le soste.
Partiamo quindi da Massa e percorriamo la valle del fiume Frigido, che abbandoniamo poco dopo l’abitato di Poggio Piastrone, dove un tempo arrivavano le vie di lizza della sovrastante Cava Lavagnina, per piegare a destra al primo bivio, imboccando la selvaggia vallata del torrente Renara.
Superata la frazione di Guadine, poco prima dell’abitato di Gronda ecco sulla sinistra la strada che, dopo alcuni stretti tornanti, ci porta fino all’ampio parcheggio all’ingresso della frazione di Casania a quota 309 metri. Questo è un piccolo agglomerato di case di origine medioevale, adagiato sulla parte bassa del crinale del monte Girello Sud, in posizione solatia fra castagni e carpini.
Un tempo qui esistevano alcune miniere di ferro che davano lavoro agli abitanti del luogo, i quali si dedicavano altresì alla pastorizia ed all’agricoltura, come testimoniano i muri a secco che sorreggono i terrazzamenti che lo circondano.Oggi, nonostante siano rimaste solo 33 persone, il paesino è molto ben tenuto e le sue case sono adornate con variopinti lavori floreali in carta.
Risaliamo la strada principale fino alla graziosa chiesetta con la facciata colorata di un bel rosso mattone, alla cui sinistra c’è un piccolo arco dopodiché, superato l’abside, ci troviamo subito nel bosco dove sono evidenti i segni del sentiero CAI 154.
Cominciamo a salire fra numerosi terrazzamenti, in buona parte abbandonati, per inoltrarci nel bosco su tratti in falsopiano e ripide salite; ogni tanto il bosco, nel quale cominciano ad apparire i primi pini, si apre sul panorama circostante che va facendosi sempre più ampio.
Dopo circa quaranta minuti, ecco sulla sinistra un vecchio carrello metallico arrugginito, segno evidente dell’attività estrattiva di un tempo; ancora venti minuti di salita e, dopo aver attraversato un ravaneto, arriviamo ad un ampio pianoro con vista sul mare alla cui destra si apre la grotta artificiale della vecchia cava di onice. Ne esploriamo un breve tratto, soffermandoci a leggere la storia su un cartello posto pochi metri all’interno.
Nel 1925, tale Evaristo Alberti, un pastore appassionato di minerali che bazzicava spesso questi luoghi con le sue capre, notò uno spuntone di roccia con un colore ed una lucentezza diversa da tutte le altre; ne prese un pezzo e lo portò da un industriale del marmo che non gli dette alcun valore.
Ma il buon Evaristo non si dette per vinto: fece tagliare e lucidare la roccia che apparve in tutta la sua bellezza, la riportò all’industriale che ancora una volta si dimostrò scettico.
Costui fece comunque esaminare la pietra ad un geologo, il quale non solo si dimostrò interessato ma, dopo un sopralluogo guidato dal nostro pastore, consigliò l’acquisto dell’appezzamento e l’apertura della miniera, di cui Evaristo diventò capo cava, che portò benessere nella zona fino al suo esaurimento avvenuto intorno al 1955.
Torniamo al sentiero e ricominciamo a salire su brevi, ma ripidi tornanti fino ad arrivare alla forra che costituiva il vero ingresso della cava a quota 570, il cui materiale, in effetti, era di origine calcarea simile al più prezioso onice di origine silicea, ma che comunque si vendeva bene, fino a cinque lire al chilo: cifra notevole per quell’epoca.
Bene, possiamo riprendere il cammino abbandonando il sentiero CAI 154 che prosegue sulla sinistra per il Pian dei Santi fino a Forno, mentre noi ci inoltriamo per un sentiero non numerato, ma comunque sempre ben segnalato con vernice rossa.
Si procede a mezza costa del monte Girello in una zona molto panoramica con la vista sul monte Sella e sul Pelato; in basso si intravedono gli abitati di Casania e Redicesi.
Ora il sentiero s’inerpica su una parete di roccia, alla sommità della quale alcune capre ci osservano curiose, con stretti tornanti che man mano si fanno più ampi, fra gli arbusti profumati di elicriso, timo e belle ginestre in fiore per arrivare su una cresta a quota 730 e poi si proseguire in falsopiano fino ad incontrare, a due ore e trenta dalla partenza, una segnaletica a terra. L’indicazione ci dice che fra trenta metri incontreremo un bivio che, a sinistra, porta ad incontrare il sentiero CAI 161 risalente da Resceto al monte Castagnolo, mentre, a destra, va verso Casania.
Poco dopo aver imboccato il sentiero sulla destra ci fermiamo una mezz’oretta per rifocillarci in tutta calma all’ombra di un ameno boschetto.
Riprendiamo dunque il cammino per arrivare ad una nuova cresta chiamata il Manico del Paiolo dalla quale si gode lo splendido panorama si monti Cavallo, Tambura, Sella e Macina e poi ancora la Schiena dell’Asino, il monte Pelato e quindi la cresta degli Uncini e la Focoraccia fino al monte di Antona.
Il sentiero, sempre egregiamente segnalato, a questo punto precipita letteralmente con una serie di zig zag esposti lungo una costa rocciosa, che impone prudenza ad ogni passo, fino ad arrivare alla Torretta, una cabina ENEL che serviva la vecchia cava della Tecchia dei Corvi.
Avanti ancora in dolce discesa fino ad un bel pianoro erboso contornato da ciliegi i cui frutti, ahimè, non sono ancora maturi; qui ci fermiamo vicino ad un cespuglio di ginestre in fiore per le foto di rito; le ragazze si appoggiano ad un vecchio tronco dal quale improvvisamente escono migliaia di formiche che risalgono sui loro abiti costringendole ad una rapida ritirata e ad una accurata e quanto mai buffa pulizia.
Ancora venti minuti di discesa nel bosco ed eccoci finalmente in paese; riprendiamo la macchina e, giunti alla strada principale, anziché rientrare, risaliamo la strada che costeggia il torrente Renara per andare ad immergere i piedi stanchi nelle sue acque gelate e cristalline; ancora una salto fino alla Buca di Renara, un’ampia grotta in fondo alla quale s’intravvede un passaggio che prosegue per un lungo tratto nel cuore della montagna, e poi finalmente a casa per la meritata e rituale “marenda sinoira”*, qualcosina di più di un normale apricena.
* Si legge nel Vocabolario Treccani: Tradizione gastronomica piemontese consistente in un pasto pomeridiano che, per l’abbondanza dei cibi (di solito freddi: quali pane, grissini, formaggi, salumi, verdure, frittate, salse ecc.) e la lunga durata può sostituire la cena