Qualche mese fa, per realizzare un articolo su queste pagine, sono stato ospite, grazie al mio amico Luca che me lo ha presentato, di un personaggio fantastico, uno di quelli che si possono trovare solo nei film o in qualche racconto scritto. Mi ha ospitato nel suo piccolo castello, mi ha offerto una bottiglia del suo vino migliore e mi ha riempito di storie da raccontare e che qui, ogni tanto, trasmetto anche a voi. Prima di lasciarmi andar via, mi ha fatto fare un giro per le stanze del castello, ed entrando in una di queste, mi è cascato l’occhio su una maschera appesa al muro, i cui tratti ero certo di aver già visto da qualche parte. Accortosi della mia attenzione verso quel manufatto, il padrone di casa mi ha detto che sì, quella era una delle circa quaranta copie originali della maschera funeraria di Napoleone, tramandata di padre in figlio in quel piccolo castello. Sapevo della maschera perché, spesso, viene mostrata in fotografia nei libri di storia, ma quello che non tutti sanno è che, al più grande francese di tutti i tempi (ma se ricordate ho già scritto che forse, forse, era di origine lunigianese), è stato fatto uno sgarbo che sa più di rivalsa che di interesse scientifico. Così come più tardi accadrà ad un altro personaggio enigmatico della storia, il monaco russo Rasputin, anche a Napoleone fu asportato il pene con tutto lo scroto attaccato. Una vendetta per umiliarlo o parte di una ricerca scientifica? Alla morte del condottiero, il dottor Francesco Antommarchi, suo medico personale durante l’esilio sull’isola di Sant’Elena, eseguì l’autopsia e contemporaneamente, chissà poi perchè, ne asportò la parti intime imbalsamandole di fronte a ben diciassette testimoni. La reliquia laica fu acquistata, insieme a numerosi altri oggetti appartenuti al corso, dall’abate Anges Paul Vignali, la cui famiglia lo custodì fino al 1924 quando fu venduto al commerciante di libri Abraham Rosenbach, che dopo tre anni lo cedette al Museum of French Art di New York. Negli anni settanta un urologo lo comprò a fini di studio ad un’asta per la modica cifra di 3000 dollari. Oggi è conservato in uno scrigno dal figlio Evan Lattimer, nel New Jersey ma è proprio grazie agli studi fatti dal padre che oggi possiamo stabilire che l’imperial pene misurava 4,5 centimetri a riposo e 6,1 in erezione. Non un granché, potremmo dire e forse è proprio per questo che Napoleone, ossessionato dalle sue dimensioni riproduttive, si faceva sempre ritrarre con una certa sporgenza all’altezza del cavallo dei pantaloni. Un’altra versione della storiella dice che in realtà l’abate stesso lo fece evirare per vendicarsi dei commenti che l’Imperatore fece sulla sua presunta impotenza, ma una cosa è certa, nessuno si preoccupò di verificare lo stato della salma quando questa fu trasportata a Parigi, per cui, ammesso che fosse davvero quella di Napoleone, possiamo ben credere che anche la parte mancante gli appartenesse. Di pezzi di cadaveri il mondo è pieno, basti pensare alle reliquie dei santi che tra crani, denti, ed ossa varie ne sono piene le chiese di ogni paese in tutto il mondo. Esistono però anche le cosiddette reliquie laiche, ovvero quei macabri souvenir ricavati dai cadaveri di personaggi famosi, non per forza legati alle cronache ecclesiastiche. Il dito medio (uno a caso?) di Galileo è custodito presso il Museo della Storia e della Scienza di Firenze, lo scheletro modellato con paglia del filosofo utilitarista Jeremy Bentham è seduto su una sedia in una stanza dello University College di Londra, il teschio di Mozart (ammesso che sia il suo) è conservato al Mozarteum di Salisburgo, una ciocca dei biondissimi capelli di Lucrezia Borgia sono esposti in una teca dell’epoca ora alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana a Milano, la salma di Lenin fu addirittura imbalsamata ed esposta alla pubblica adorazione nella Piazza Rossa di Mosca. Insomma curiosando qui e là, potremmo trovarne ancora tantissime, ma per tornare ai tempi nostri, giusto due anni fa, è venuta a mancare Cynthia Albritton che ai molti non dirà granchè, a meno che non la si nomini col suo nome da artista ovvero Cynthia Plaster Caster.
Nemmeno ora vi dice nulla? Beh era una che di genitali maschili se ne intendeva davvero, in senso artistico naturalmente, perché dopo una iniziale carriera da groupie a fine degli anni ’60, spinta da vena artistica e spalleggiata dal grandissimo Frank Zappa, decise di realizzare in maniera, diciamo alternativa per l’epoca, un progetto di arte assegnatole dal suo professore, che consisteva nel “modellare qualcosa di solido che potesse mantenere la sua forma”. Usando l’acido alginico, quello usato per realizzare le impronte dentali, ebbe la fantastica idea di realizzare calchi di genitali maschili degli appartenenti alle più famose band musicali dell’epoca. Ci provò inizialmente con Mark Lindsay, frontman di Paul Rever & The Riders. Quella sera perse la verginità, ma l’interessato non fu dell’idea di farsi immortalare nel gesso, la notizia però si sparse nel mondo dei musicisti e presto i primi esemplari furono riprodotti, il più famoso è, forse, quello di Jimy Hendrix. Di calchi ne fece all’incirca 48, costruendosi una fama internazionale e realizzando una mostra nel quartiere newyorkese di SoHo nel 2000, e poi anche al MoMA di Queens sette anni dopo. Il suo studio ebbe una risonanza tale che la famosa band dei Kiss le dedicarono la canzone “Plaster Caster” nel loro album Love Gun del 1977. Per la cronaca, il calco del fallo di Hendrix è in mostra al Phallogical Museum di Reykjavik in Islanda, insieme ad altre 200 riproduzioni di falli umani ed animali. Se Cynthia fosse vissuta 200 anni fa, chissà se Napoleone avrebbe accettato di farsi fare un calco del pene, oppure avrebbe tirato fuori la solita storia che le dimensioni non contano ma… insomma lo sapete come finisce.