foto di Silvia Meacci
È un dolce fiorentino il cui nome deriva da “zucca”, ossia “testa” in toscano, e molto probabilmente dall’elmo dei fanti usato come stampo. Ecco perché in passato fu chiamato “l’elmo di Caterina“. Pare che proprio per la rampolla dei Medici, moglie di Enrico II, re di Francia, sia stata ideata questa delizia in occasione di un banchetto. L’idea fu di Bernardo Buontalenti, artista e architetto, ma anche inventore del celebre e omonimo semifreddo, oltre che di una gelatiera e di rudimentali ghiacciaie, tutt’oggi visibili alle Cascine. Il Buontalenti volle stupire Caterina e gli invitati a corte, con una creazione scenografica, a partire dalla forma: una cupola ripiena di ricotta e canditi, scorze di agrumi cui in seguito furono aggiunti granelli di fave di cacao. Si sa che “il cacao fece la sua prima comparsa nella corte del Granducato nel 1606 grazie a Francesco Carletti che ne parlò a Ferdinando I, spiegandogli la moda spagnola di utilizzarlo come bevanda zuccherata, tanto che nei primi decenni del Seicento, secondo la testimonianza di Redi, si beveva un chicchera di cioccolatte tutta in un fiato”**.
La calotta dello zuccotto esternamente era molto invitante per il colore rosso vivido dato dalla bagna di alchermes, liquore profumato, dolce, leggermente alcolico e di origine araba, portato e diffuso dagli spagnoli in Italia e in Europa. Fu Caterina che fece conoscere l’alchermes oltre i confini, tanto che fu appellato il “liquore dei Medici”. A Firenze era preparato dalle suore dell’Ordine di Santa Maria dei Servi, dai frati di Santa Maria Novella e dai Certosini. Era pure considerato un elisir di lunga vita e in Sicilia era somministrato ai bambini per calmarli in caso di spavento. La ricetta fu trascritta nel 1743 da fra’ Cosimo Bucelli.
Se volete preparare un buon zuccotto, dovreste assolutamente procurarvi il prezioso alchermes della Farmacia Santa Maria Novella e utilizzare la ricotta. Volendo ottenere un composto più vellutato potreste aggiungere un po’ di panna, facendo però in modo che non si sappia in giro, perché quest’ultima non rientra nella ricetta originale. Al momento dell’assaggio, voi giurerete che si tratta esclusivamente di ricotta particolarmente cremosa e lavorata finemente con olio di gomito. Per rivestire lo stampo a cupola sarà bene utilizzare un vero pan di spagna, preparato come si deve. Le fettine della torta vanno imbevute per ottenere un aspetto rosso o rosaceo a seconda della quantità e della qualità del liquore. Sapete come si ottiene l’alchermes? Ci sono tante spezie dentro, i chiodi di garofano, l’acqua di rose, la scorza di arancia. Ma il colore da cosa è dato? Da quando me l’hanno detto, è cambiata la mia esperienza gustativa dello zuccotto. Non so cosa darei per ritornare negli anni settanta, quando avevo più occasioni di mangiarlo, sia perché si trovava più facilmente nei ristoranti, sia perché allora non sapevo che per ottenere quel fluido zuccheroso e anche leggermente inebriante e alcolico, era necessario essiccare la cocciniglia, un parassita delle piante. “Al-kirmiz” significa cocciniglia e dà origine alla parola “cremisi“.
Una bagna così saporosa ottenuta da degli insetti? Non nego che ogni volta, al primo boccone dello zuccotto, devo scacciare via un piccolo ribrezzo, per poi lasciar prevalere il piacere del gusto. Non mi piace l’idea di mangiare prodotti derivati dagli insetti, anche se dovrò piano piano, immagino, accostumarmi alle farine proteiche, già presenti oggigiorno in crackers e preparazioni come permesso dalle normative della comunità europea. Il liquore dei Medici si usa anche nella zuppa inglese o nelle pesche di Prato, quelle paste rotonde e rosee farcite di crema che si trovano, inaspettatamente, in certe pasticcerie della città o in campagna: gustosissime, ma di cui sempre dubito sulla freschezza perché mi riportano alla mente la “Luisona”, la pasta stantía e vendicativa del libro “Bar sport” di Stefano Benni.
D’altra parte la cocciniglia come colorante è stata usato per secoli nel settore tessile, e Prato, si sa, vi ha basato la sua principale attività. Lo sapevate che si impiega anche per colorare la mortadella di Prato, nata nell’ottocento per non sprecare gli scarti di insaccati buoni come prosciutto e salame?
L’ alchermes ha avuto fortuna alterna. In alcuni anni era sparito quasi perché ritenuto troppo dolce e troppo colorato, soprattutto se prodotto industrialmente. Oggigiorno, rispetto al passato, lo zuccotto è meno reperibile nelle trattorie e pasticcerie fiorentine. Se ne trovano di buoni, ma frequentemente sono all’aspetto esangui, sbiaditi e ripieni di gelato.
L’ultimo che ho mangiato in trattoria, eccellente e fedele alla ricetta tradizionale con l’alchermes e la ricotta bigusto, vale a dire, con l’aggiunta del cacao, è stato”Da Luigi”, in zona Ferrucci. Faccio sempre fatica a terminarlo dopo una cena ricca, ma ogni boccone, escluso il primo, mi riporta a quando ero piccola e lo mangiavo con il cucchiaino da gelato, quello piatto piatto, che mi pareva tanto elegante, in un bar all’aperto con i miei genitori. Lo zuccotto era ingenuità e felicità.
**Dal libro “Tavole nobili e pietanze quotidiane”