Si dice che, una volta, nella vita, bisognerebbe assistere, nella prima decade di maggio, allo spettacolo della fioritura delle giunchiglie sul Monte Croce, perché è solo su questo monte delle Apuane meridionali che si verifica questo fenomeno. Si dice pure che è lontano e faticoso andarci: ed allora, che problema c’è? Chiudete gli occhi e seguiteci, vi portiamo noi.
Partiamo un po’ prestino questa volta, si fa per dire, e alle 10 siamo a Stazzema al termine della strada asfaltata che parte da sotto il paese verso Casa Giorgini. Paghiamo i regolamentari quattro euro presso il parcometro e siamo pronti. Da qui partono i sentieri CAI 5 e 6 che, per alcune centinaia di metri, salgono assieme. Alla biforcazione giriamo a sinistra ed imbocchiamo il sentiero 6 che sale largo e ben segnalato fra boschi di castagno, in mezzo ai quali, ogni tanto, spunta una grossa pianta di agrifoglio in fioritura, ma ancora carica di bacche vermiglie.
A quaranta minuti siamo presso Casa Giorgini, un vecchio casolare risistemato a dovere, che fornisce pasti ed alloggio, e poi: avanti sul sentiero che, poco dopo, spiana fino ad incontrare e superare il bivio con il CAI 5/A e successivamente con il 121, proprio sotto la parete verticale del monte Nona. A un’ora e venti dalla partenza incontriamo il sentiero CAI n° 8 che sale da Cardoso: qui, di nuovo, si ricomincia a salire, comunque senza grosse difficoltà, fino ad arrivare dopo una mezz’ora alla Foce delle Porchette. Scendiamo per un breve tratto fino al il bivio fra i sentieri 8 (E), che porta in vetta seguendo un itinerario un po’ più lungo, e 108(EE) con un percorso più diretto ma senz’altro più affascinante; inutile dire che scegliamo di percorrere il 108.
Avanti per un breve tratto ombroso, fino ad incontrare la forra delle “Scalette”, che prevede alcuni passaggi attrezzati con catene di sicurezza, indispensabili in presenza di ghiaccio, ma delle quali, oggi, si può tranquillamente fare a meno, tenendo sempre alta l’attenzione.
Al termine della salita, eccoci alla Fonte del Pallino a quota 1076, un luogo ameno fra i faggi, dove nasce il torrente che precipita nella forra sottostante: qui, parecchi escursionisti, evidentemente di ritorno dal monte Croce, stanno consumando il loro pranzo al sacco; li superiamo rapidamente, a quella visione l’appetito comincia a farsi sentire, e ricominciamo a salire fino ad incontrare il sentiero blu, ben visibile, che ci porterà in vetta. Avanti fino all’antecima fra roccette e paleo, senza particolari emozioni. Giunti qui lo sguardo può alzarsi fino alla cima e lo spettacolo che si para davanti ai nostri occhi è da mozzare il fiato: migliaia e migliaia di giunchiglie che ondeggiano, mosse dal leggero vento di tramontana, e ricoprono i prati che salgono fino alla sommità del monte.
Le giunchiglie selvatiche del monte Croce sono una specie protetta di Narcissus Poeticus che fiorisce fra fine aprile e la prima decade di maggio e di cui è severamente vietata la raccolta; ma chi si azzarderebbe a raccogliere anche un solo fiore? Viene solo voglia di salire lentamente fino alla vetta abbeverandosi con lo sguardo a questa meraviglia che fra pochi giorni scomparirà per ripresentarsi puntualmente ogni anno come da tempi immemorabili.
Lentamente e faticosamente, la stanchezza e la fame cominciano a farsi sentire, guadagniamo la vetta a quota 1316 dopo tre ore e trenta dalla partenza; ci mettiamo un po’ a ridosso sul lato sud per proteggerci da una leggera brezza di tramontana che soffia da nord e qui finalmente ci rifocilliamo.
Ora davvero lo spettacolo è unico: a sud, fra i monti Prana e Matanna, il lago di Massaciuccoli tanto amato da Giacomo Puccini, fra il Matanna ed il Nona spicca in lontananza sul mare l’isola di Gorgona e poi la torre del Procinto e risalendo verso nord la visione imponente della Pania della Croce e della Pania Secca quindi l’Appennino e ritornando verso sud, in basso, il mare di giunchiglie. Si può volere di più?
Dopo un breve riposo iniziamo la via del ritorno e, giunti all’antecima, alzando lo sguardo, ci riempiamo ancora gli occhi quel mare bianco di fiori. Ripercorriamo in tutta scioltezza il sentiero dell’andata ed alle cinque di sera possiamo dire conclusa la nostra stupenda giornata.
A casa ci ritempreremo dalle fatiche con il solito spuntino a base di acciughe del mare Cantabrico* e poi un prosciuttino di Parma, debitamente stagionato, accompagnato da una corposa ed appagante Barbera.
*Forse non tutti sanno che questo magnifico pesce – l’acciuga del Cantabrico – che viene pescato nelle gelide acque del golfo di Biscaglia, altrimenti detto Mare Cantabrico, è stato sempre poco valutato dai pescatori locali, che se ne servivano principalmente per farne esca per pesci più importanti, finché, verso la fine dell’ottocento, giunsero in loco dei pescatori siciliani che insegnarono loro le tecniche di salagione e conservazione di queste grosse, grasse e squisite acciughe, che non avevano rivali sul mercato, fino a farne un prodotto apprezzato e ricercato dai migliori buongustai.