Nel 2022 i volontari dell’Associazione Acquilegia, che gestisce l’Orto Botanico Pellegrini Ansaldi ed il CAI di Massa con il patrocinio dell’Ente Parco delle Apuane, hanno ripristinato l’antico sentiero che, partendo dal paesino di Redicesi, raggiunge la Foce di Antona, per discendere all’omonimo paese e, da qui, lungo un antico tratturo seguito, poi, da una vecchia traccia, si ricongiunge al punto di partenza. Il percorso è indubbiamente interessante e, allora, perché non provarlo visto che finalmente è riapparso il sole?
Partiamo dunque da Massa e, costeggiando il fiume Frigido prima e successivamente il torrente Renara, giungiamo all’agglomerato di case di Gronda; qui, lasciamo la macchina e ci avviamo verso il minuscolo paesino di Redicesi, ormai abitato da poche persone, dove giungiamo dopo soli cinque minuti.Alle dieci in punto siamo pronti per partire: oggi siamo solo in tre, io, mia figlia ed una cara compagna di tante escursioni, ma non per questo il gruppo è meno affiatato e pronto all’avventura.
Abbandonato il paese, dopo poche decine di metri, incontriamo il primo guado, attrezzato con corda, sul Fosso di Redicesi, oggi particolarmente impetuoso a causa delle abbondanti piogge dei giorni scorsi. Proseguiamo in mezzo ai ranuncoli selvatici fino al secondo guado sul Fosso della Cerignola, dove mia figlia, a causa delle rocce scivolose cade e si procura una brutta e dolorosa botta al polso della mano sinistra. Nonostante sembri che non ci siano rotture, ritengo prudente consigliare di tornare indietro, ma: niente da fare è decisa a proseguire e non c’è verso di farle cambiare parere. Tutta sua madre.
E allora proseguiamo. Il sentiero è abbastanza scivoloso, sebbene ben segnalato, e almeno in questo primo ripido tratto è invaso dall’erba rigogliosa ed interrotto, in alcuni punti, da tronchi, anche di grosse dimensioni, che si sono abbattuti su di esso.
Più in alto, ecco i castagni secolari, il sentiero si fa più pulito e corre fra grosse macchie di mirtilli, dalle quali cominciano ad occhieggiare le piccole bacche ancora rosa; a valle, immerso nel sole, il paesino di Casania.
Continuiamo a salire con una certa preoccupazione perché il polso si sta gonfiando e, sebbene con un dolore tollerabile, il braccio deve restare appoggiato al marsupio. Fortunatamente, ogni tanto, incontriamo un torrentello di acqua freschissima nel quale immergere la parte dolente per un impacco lenitivo.
A due ore dalla partenza, ormai vicini alla Foce, incontriamo il bivio per Pian della Fioba dove sorge il rifugio Città di Massa. L’intenzione nostra sarebbe stata quella di arrivare in vetta al Monte Antona ma, viste le condizioni di mia figlia, non ce la sentiamo di affrontare un seppur piccolo passaggio su rocce che preveda l’uso delle mani ed allora pieghiamo verso il Pian della Fioba.
Ora il sentiero, già fatto altre volte, è molto bello e sale gradualmente in mezzo ad un folto bosco di abeti fino a quando incontriamo un’orrenda strada, fatta recentemente con le ruspe, che ha letteralmente demolito il sentiero stesso per far passare mezzi di grosse dimensioni.
Proseguiamo un po’ più tristi chiedendoci, senza trovare risposta, chi e perché abbia fatto uno scempio del genere Aggirato il rifugio ci portiamo a quota 900 su di un pianoro adiacente alla piazzola atta all’atterraggio degli elicotteri.
Qui lo spirito si rinfranca, ci sediamo su una comoda panca fatta di tronchi con davanti agli occhi uno spettacolo a 360 gradi che va dalle più belle ed ardite vette delle Apuane settentrionali, ancora spruzzate di neve, fino alla dentellata cresta degli Uncini, dietro la quale spicca la vetta del monte Altissimo e poi più avanti la Focoraccia il Carchio e finalmente la piana di Massa ed il mare.
Sono ormai le tredici ed è quindi il momento di rifocillarci, rilassarci e coccolare un po’ la stoica infortunata. Riprendiamo il cammino ed iniziamo a scendere sempre fra gli abeti fino ad incontrare il Sentiero CAI n°41.
Qui lo spettacolo è ancora più deprimente: un grande piazzale nel quale termina la strada che abbiamo incontrato poc’anzi, decine di grossi abeti abbattuti ed accatastati, grossi macchinari ed una specie di traliccio ancorato con lunghi tiranti agli alberi attorno e dal quale si diparte un grosso cavo metallico che precipita a valle; il mistero continua.
Scendiamo fino alla Foce di Antona a quota 768, giusto in tempo per ammirare un paio di rocciatori che sfidano la verticalità della parete sud del monte omonimo e, subito sotto, eccoci ad una Cappelletta a ricordo di un pellegrinaggio mariano del 1980.
Da qui in avanti il sentiero precipita rapidamente a valle fino alla palestra di roccia Campareccia, sulla quale sono tracciate parecchie vie di salita contrassegnate da piastrelle raffiguranti animali o persone, a fianco delle quali è riportato il grado di difficoltà che presenta la scalata.
Scendiamo incontrando belle case sparse ed attraversando due volte la Via dei Colli fino a giungere sopra l’abitato di Antona; seguiamo ora la strada asfaltata per circa un chilometro fino ad arrivare al Cimitero del paese verso il quale saliamo su un ripido sentiero cementato fino ad aggirare l’Oratorio della Santissima Annunziata.
Da qui inizia il tratturo, l’antica Via della Croce, che in un paio di chilometri ci porterà, con una serie di saliscendi, fino all’Oratorio di San Michele. Sulla sinistra si apre il panorama sulla valle del Frigido con i suoi paesi di Caglieglia, Casette e sulle cave della Rocchetta e della Lavagnina fino alle cave di Gioia per poi proseguire sui monti Sagro, Cavallo, Contrario e Tambura; più avanti, nel fondovalle, l’abitato di Forno.
Dopo aver superato una croce bianca conficcata su di una roccia ed una bella Maestà perfettamente conservata, arriviamo in uno spiazzo ricavato su un costone di roccia dove sorge il piccolo Oratorio del XV secolo dedicato a San Michele a fianco del quale si può notare una piccola campana ed una fontanella da cui scende un filo d’acqua gelata, ideale per il polso infortunato.
Breve sosta e si riparte: il largo e comodo tratturo finisce per proseguire nel bosco, con un sentiero che si fa subito stretto e di difficile percorrenza. Non si può definire un percorso da Escursionisti Esperti ma senz’altro da Escursionisti Prudenti fortunatamente ben segnalato.
Dopo un tratto in saliscendi fra castagni e grosse stipe, che, durante la stagione adatta, deve essere il paradiso dei porcini, si precipita decisamente a valle, incontrando ancora un paio di guadi ed alcuni passaggi, nei quali necessita portare aiuto a chi, stoicamente, marcia con un braccio inutilizzabile.
Ora il sentiero si fa pianeggiante: proseguiamo fra le felci rigogliose, accompagnati dallo scroscio delle acque del torrente Renara in piena che scorre più in basso. Dopo aver superato un ponticello di fortuna, eccoci finalmente alla meta: l’abitato di Redicesi.
Ancora pochi minuti di strada ed esattamente alle 17 siamo alla macchina contenti di aver dato il giusto omaggio ai volontari che, con il loro lavoro, ci hanno permesso di ripercorrere questo antico sentiero. La sera, al Pronto Soccorso, le radiografie non hanno evidenziato alcuna frattura, il che ci dà il viatico per nuove escursioni.
foto di Giovanni Viaggi